la Repubblica, 20 febbraio 2024
Esercizi spirituali molto comici
Nel suo memoriale, Jacqueline Pascal narra di come il fratello Blaise fosse così dedito alla ricerca spirituale che, per eludere la vanità, appena un visitatore bussava alla porta il matematico e filosofo si allacciava una cintura con punte acuminate verso i fianchi. Se percepiva un lieve piacere, con il gomito s’infliggeva una fitta di dolore, così da evitare il “demoniaco” godimento della compagnia e dell’orgoglio.
Chi ricorda Il nome della rosa di Umberto Eco penserà subito a padre Jorge da Burgos che diventa serial killer pur d’occultare un testo di Aristotele sulla commedia in quanto la risata sarebbe, per il monaco, la nemesi del Cristianesimo poiché mette in discussione valori e ordine preesistenti. Ridere dell’autorità la spoglia di ogni sacralità, denuda il re. Guglielmo da Baskerville ribatte che è il contrario: ridere è un sentimento caratteristico degli esseri umani, mentre gli animali non ridono. La risata, alleata della conoscenza, serve a «far ridere la verità». Per completezza, nella SummaTheologiae san Tommaso critica, sì, l’umorismo vano e malizioso, lo scorno maligno, ma afferma che l’umorismo in sé è una manifestazione della razionalità che può anche essere virtuosa. Anzi, nella mancanza di senso dell’umorismo vi è il peccato: non saper ridere significa esser pocoragionevoli. Duri et agrestes, come insegnava proprio Aristotele. Eppure sia la religione cristiana, soprattutto quella cattolica dove il riso abbonda sempre nella bocca degli stolti, che una parte della fede musulmana anti-vignette (escludendo lo humour del sufismo), appaiono entrambe confessioni in cui l’ironia, lo scherzo e la risata sono meno teologicamente centrali. Per contrapposizione, basti pensare all’importanza della risata nel buddismo, al sapersi prendere in giro insegnato nel Talmud e nella tradizione ebraica, all’ironia di Confucio, allo yoga della risata indiano, e ai sacri clown guaritori che appaiono in varie culture, dal Messico al Nepal.
La risata può indagare l’ignoto? E come? Nel buddismo zen lo humour è soteriologico, porta a salvezza. I maestri zen iniziano i discepoli con scherzi e battute per liberare la loro mente e aiutarli a scoprire l’illuminazione. Ridere può distruggere le illusioni e svincolare l’intimità. La scoperta del relativismo apre una visione sulle proprie illusioni. Una volta che si riesce a farsi una risata sulle proprie false prospettive, si apre un collegamento con il tutto. Pensiamo alla centralità della risata per il Dalai Lama, forse la guida religiosa più universalmente simpatica. I buddisti tibetani ridono della propria limitata umanità, sono autoironici sui limiti della propria umanità, di desideri e brame, concetti che di fronte al divino nulla appaiono, appunto,risibili. Come annotava l’illustratore dell’Elogio alla follia di Erasmo da Rotterdam, Hans Holbein il Giovane, a margine di un’illustrazione di un uomo dal viso serio che contempla in uno specchio il suo riflesso che mostra la lingua: «Il saggio va alla ricerca delle sue orecchie d’asino».
Il Talmud racconta del profeta Elijah che indica due persone al mercato che avranno una parte del Regno del futuro. Sono i giullari che rallegrano la gente quand’è triste e fanno far pace tra chi litiga. Baal Shem Tov, fondatore del Chassidismo diceva: «Lo humour è quella cosa che porta la mente di una persona da un luogo di coscienza costretto a un luogo di coscienza espanso».
Anche lo yoga, oltre a quello della risata, pur prendendosi oggi militarmente sul serio, è improntato sul saper vedere ciò che è ironico. Le divinità indù, come quelle dell’antica Grecia, possono essere tremende, ma sono spesso giocose. Uno dei test per capire se un guru è un ciarlatano è ascoltare se sa far ridere. Sri Ramakrishna scherzava sempre, e anche Swami Vivekananda faceva battute per spiegare l’induismo agli occidentali.
La comicità è uno strumento che aiuta ad affrontare le contraddizioni. Abbiamo bisogno di certezze e stabilità, ma l’esistenza è imprevedibile e confusa. Lo humour ci mostra come accettare i paradossi, vincendo le incognite con più fiducia, pronti a rivedere tutto.
La comicità nasce quando c’è un cambio di prospettiva spesso assurdo o inaspettato, aprendo le porte al ruolo di rinnovamento della comicità. Il comico ci fa vedere le cose in modo nuovo, costringendo le menti razionali a uscire dai binari lineari e prevedibili per studiare un quadro che non vedevamo. Nella risata l’intelletto si lascia andare, sente un’esplosione creativa dentro sé. Ecco l’effetto dirompente della sorpresa comica. Che si fa spirituale.
Ma la risata può guarire anche il corpo. La sensazione fisica è di gioia, innalzamento ed esuberanza. Aumenta l’ossigenazione, stimola cuore, polmoni e diaframma, rilascia endorfine nel cervello. Lo hanno capito anche i preti- clown guaritori delle cultureantiche del Messico e dell’Himalaya. Da sempre, il giullare è incaricato di sciogliere la rigidità del mondo per consentirne un’eventuale ricostruzione. Ciò, in Italia, ha avuto chiari riflessi in politica. “Fare lo scemo”, tecnica adottata da moderatori e presentatori tv di grande popolarità, serve a rivelare verità nascoste, mescolando arguzia e follia.
Nella tradizione dei clown spirituali del Nepal che girano per i villaggi più sperduti a curare con una risata, i soggetti più dileggiati sono i brahmani, gli ascetici che rinunciano alle gioie del mondo, e i re, tutti derisi per varie falsità, avidità, bugie e ingordigia. È un carnevalesco mundus inversus nato dall’antica scissione tra potere e religione, ora impegnate a rincorrersi per ritrovarsi.
In alcune società del Sub globale dove la religione è ancora superstruttura questo paradigma resiste. Per questo i riti religiosi dei pagliacci tribali hanno un potere liberatorio ancor più potente.
I loro imbrogli e lazzi, integrati ai riti, sono vera trasgressione. Sacerdoti e governanti sono il bersaglio di riti simbolici cruciali a comprendere i sistemi religiosi stessi. Sono farse che invertono i riti, mettendo in luce aspetti più oscuri della religione, teatralizzando i conflitti.
Quelli nepalesi sono riti speculari alle cerimonie azteche indagate da Georges Bataille per spiegare l’antropologia della trasgressione. Infrazioni, offese, violenze orgiastiche: performance rituali che ruotano sul perno della risata per spezzare il sacro affinché possa rinnovarsi. Questo è un ruolo sopravvissuto anche nell’Asia degli altopiani, dalla Siberia al Tibet e al Nepal, oltreché all’India, dove la risata e l’elemento ludico restano presenti nel rituale. La persona più rispettata, il prete o il sacerdote, diventa la più ridicola e reietta: il sacro diventa sacrilegio. Solo così possono tornare ad esser davvero sacri.
Forse è proprio questo antico insegnamento che alcune religioni giudaico-cristiane hanno perso, irrigidendosi, diventando polverosamente stantie oppure violentemente intolleranti. Per evitarlo, basterebbe ricordare che la commedia della vita e della morte sono entrambe divine.