Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 20 Martedì calendario

Intervista a Valentina Bellè


BerlinoForse l’Italia non è un Paese per giovani, ma Valentina Bellè, ragazza giudiziosa, scelta fra le Shooting Stars più promettenti del cinema europeo al Festival di Berlino e reduce da due impegni importanti, La vita accanto di Marco Tullio Giordana e Sei fratelli di Simone Godano, sa fare i suoi distinguo: «L’attenzione verso la nostra generazione è cresciuta esponenzialmente con l’avvento dei social. Quel tipo di visibilità è poi difficile da gestire».Perché?«Perché a quel punto bisogna affrontare un’altra sfida, cercare la propria identità e la propria visione, senza rischiare di perdersi. Di sicuro il lato positivo è che il numero di progetti in cui i giovani sono protagonisti è aumentato. Credo che sia il frutto di una richiesta del mercato, ma mi piacerebbe anche che non finissimo per esserne troppo schiavi».In che senso?«Mi riferisco al modo con cui vengono raccontate le nuove generazioni e a che cosa si vuole dire di loro. Penso, per esempio, che una serie come Skam sia un lavoro ottimo, un’indagine davvero sincera».Che rapporto ha coi social?«Non ci sono cresciuta perché faccio parte di una generazione di mezzo. A un certo punto sono entrati nella mia vita, ho dovuto capire come comportarmi, all’inizio il mio rapporto è stato piuttosto conflittuale, adesso, forse, sono diventata più brava, ma trovarsi in difficoltà con i social può succedere sempre. Tendo a non concedermi più di tanto, sono molto affezionata al mio privato, e penso che sia meglio così anche per motivi professionali».Cioè?«Non voglio che le persone abbiano confidenza con la mia vita personale, preferisco che i miei personaggi siano il più possibile liberi da me stessa, capaci di parlare da soli, senza la mia immagine tra i piedi».Dopo il festival di Sanremo il cantante Sangiovanni ha deciso di mollare tutto. A lei è mai capitata una crisi simile?«Non ho mai vissuto successi così grandi da sovrastarmi e non so come avrei reagito se mi fosse capitato di averli a 20 anni. Ho avuto piccoli successi e piccoli fallimenti, quindi facilmente gestibili. Di sicuro ho attraversato momenti in cui ho sentito la voglia di smettere, perché non ero felice né di quello che facevo nè dell’ambiente in cui mi trovavo».Cosa l’ha spinta ad andare avanti?«Amo questo lavoro, amo recitare, alla fine riesco a superare le crisi e torno al motivo profondo, sincero, per cui faccio questo mestiere. Un motivo che riguarda l’esperienza, gli incontri umani. Spero che Sangiovanni colga questa occasione per poter tornare in scena più forte, cambiato, cresciuto. Magari la pausa gli farà bene».Ha recitato giovanissima con i Taviani in Una questione privata. Com’è andata?«Ero veramente piccola, avevo 23 anni. Ho sempre pensato di non essere all’altezza del ruolo. Era una storia meravigliosa, basata su un libro stupendo. È stato come ricevere un regalo pazzesco. Quel modo di fare cinema sta scomparendo, averlo conosciuto così presto è stato un privilegio. Era bellissimo osservare due autori così padroni del set, mi sentivo strumento della loro visione, avevano un modo molto dettagliato di dirigere, cercavano una sorta di composizione, una specie di quadro».Ha frequentato il Centro Sperimentale, meglio gli attori di scuola o presi dalla strada?«Non sono un’attrice accademica, non ho finito completamente il percorso della Scuola di Cinema. Però ho guadagnato degli strumenti. Chi parte senza, può imparare il mestiere mentre lo fa, anche perché, da noi, in Italia, funziona ancora molto il realismo spinto e forse certi attori sono adatti proprio per questo tipo di linguaggio. In verità sento forte la mancanza delle maschere che avevamo un tempo».Per esempio?«Penso a Volontè, a Giancarlo Giannini, a Sordi, loro erano davvero attori capaci di cambiare radicalmente, grazie a un lavoro complesso. Tutto questo oggi non c’è più, a me piacerebbe tornare a quel modo, il realismo mi annoia».L’incontro fondamentale della sua vita lavorativa?«Con Luca Marinelli, l’ho incontrato presto e per me è un punto di riferimento. Mi piace anche il suo essere considerato un carattere difficile, mi sento un po’ come lui, riesco a comprendere il suo profondo desiderio di indagine, di scoperta, di scavo nelle storie che racconta».Si parla tanto di progressi delle donne nel mondo del lavoro. Lei ci crede?«Sicuramente sta cambiando qualcosa, per me, l’obiettivo è trovare storie in cui le donne non siano solo madri, figlie, mogli, penso sempre alla Pazza gioia di Paolo Virzì, l’esempio principe del tipo di parti che mi interessano. Non sono moglie né madre, sono tanto altro, e vorrei riconoscermi sul grande schermo». —