La Stampa, 20 febbraio 2024
I reduci del lavoro
Lorenzo Campagnari era una bimbo alle elementari quando suo padre, muratore, passò mesi in ospedale con il rischio di restare paralizzato dopo essere caduto da una scala. Era uno studente universitario quando dal balconcino di casa sua guardava gli operai sulle impalcature con le ciabatte e senza caschetto.
Da fotografo ha deciso di ritrarre i volti e le ferite dei sopravvissuti agli incidenti sul lavoro e mostrarne i segni lasciati dalla leggerezza su norme, formazione e prevenzione delle regole di sicurezza. «Queste fotografie sono potenti perché mostrano cicatrici, ustioni, occhi che non vedono, dita mozzate – racconta l’autore del progetto fotografico indipendente “I segni del mestiere, testimonianze di sopravvissuti dal fronte lavoro” -. I numeri si scordano in fretta, le storie no. Spesso non c’è modo di raccontare cosa succede nella vita delle persone dopo l’incidente. Il mio lavoro è una denuncia sociale, per sensibilizzare sulla sicurezza e spingere i lavoratori a essere consapevoli dei loro diritti».
Negli scatti di Lorenzo Campagnari c’è il prima e il dopo delle vite di Daniele Pagliari, che si è ustionato le gambe e parte del torace lavorando con dei prodotti chimici in un garage. Nessuno lo aveva avvertito dei rischi, non aveva con sé nulla per proteggersi dall’incendio che gli ha incollato addosso i vestiti. Fabio Ronzoni ha perso l’occhio a 19 anni, per una scheggia di legno. Era un apprendista falegname, al lavoro senza occhiali protettivi e su un macchinario del 1930. «Non era a norma, mi è arrivato un proiettile di tre centimetri nell’occhio – racconta -. Al rientro dal mio infortunio, undici operazioni e un anno e mezzo dopo, sono stato malamente allontanato. Negli anni la mia famiglia, la mia ragazza, mi hanno aiutato a rialzarmi. Mi sono laureato, ho un bel lavoro. Agli altri voglio dire che la vita non finisce. Nonostante tutto, si può».
Quasi metà della mano di Luca Bozzardi è volata via con un pezzo di legno una mattina del 2004. «Quel mattino eravamo in ritardo con un lavoro, ero nervoso. La vita per come la conoscevo è finita, in un attimo» racconta. «Adesso? Alla mano non ci faccio più caso, ma è stata dura». E poi ci sono le ferite che non si vedono, ma restano difficili da curare.
«Il 90 per cento degli infortuni possono essere evitati con la collaborazione delle aziende e dei lavoratori, ma sulla sicurezza servono consapevolezza e cultura – continua il fotografo Campagnari -. Ho incontrato un ragazzo della mia età, 24 anni. L’avevano mandato su un contro soffitto, al buio. Nessuno prima aveva visto la botola, era aperta e lui è volato di sotto. Ha perso la memoria a breve termine, questo incidente ha stravolto per sempre la sua vita e quella di chi gli sta intorno. Per evitarlo sarebbe bastato fare un sopralluogo prima di chiedergli di salire, solo e senza gli strumenti giusti».
Nel 2023 sono stati denunciati 585.356 infortuni sul lavoro, di cui 1.041 mortali. Numeri in leggera flessione rispetto al 2022, mentre sono in aumento le malattie professionali: erano 60.774 nel 2022 poi diventate 72.754 nel 2023. Le regioni con più casi registrati nello scorso anno sono state Toscana (11.336), Marche (6.771), Puglia (6.763) e Sardegna (5.461).
L’Anmil – l’Associazione lavoratori mutilati e invalidi del lavoro – ha un prezioso ruolo di sostegno e assistenza delle vittime degli infortuni, oltre a proporre corsi di formazione e di sensibilizzazione in tutta Italia. Il vicepresidente e coordinatore della commissione amianto dell’associazione è Emidio Deandri, un omone di un metro ottanta che lasciò la vita da giovane papà sportivo insieme alla gamba sinistra in una plissettatrice quando non aveva ancora trent’anni.
Si definisce un «infortunato fortunato» e un grande rompiscatole. Fortunato perché nel 2001, quando dovette imparare a vivere una nuova vita, un nuovo modo di far quadrare i conti, trovò nella famiglia la forza di rimettere insieme i pezzi e nella rabbia la voglia di cambiare le cose per sé e per gli altri. Quando un giorno si trova a imprecare nel parcheggio dell’ospedale, inizia la seconda parte della sua vita, quella del rompiscatole. «Con il tempo consultare le norme e condividere le informazioni è diventato più semplice, prima erano cavoli tuoi e della tua famiglia. Qualcosa cambia, ma troppo lentamente – continua -. Per noi, per me, è molto importante non lasciare chi sopravvive a un incidente da solo. Mai, nemmeno in tribunale, quando un lavoratore sopravvissuto deve far valere i suoi diritti e si sente, come mi sono sentito io, una formichina contro un gigante». —