il Giornale, 20 febbraio 2024
L’arte di prendersi cura dell’arte
È alto cinque metri e venti, compreso il basamento di 108 centimetri. Pesa 5560 chili. E ha 520 anni, tenendo conto che Michelangelo finì di scolpirlo nel 1504. E, tutto considerato, come assicura Cecilie Hollberg, la direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze dove è collocato, opera inamovibile, da 150 anni, «È in ottima forma». E pensare che il blocco di marmo usato dal maestro di Caprese non era neppure eccezionale, anzi. Aveva delle porosità ed era già scartato da altri due scalpellini dell’Opera del Duomo... Eppure.
Eppure, la pietra scartata dai costruttori è diventata la testata d’angolo della civiltà occidentale. La prima statua colossale dopo l’antichità. La nudità assoluta dell’Innocenza. La tensione della Giovinezza. La forza dell’Eroe disarmato. La Bellezza nel suo stato più puro. L’incarnazione del Rinascimento. Il simbolo dell’identità italiana.
Forse è l’opera d’arte più conosciuta della storia, di certo assieme alla Gioconda la più fotografata del pianeta.
La Galleria dell’Accademia, il museo costruito attorno al David negli anni Settanta dell’800, quando si decise di toglierlo dalle intemperie di piazza della Signoria, nel 2023 è stata visitata da due milioni di persone: 2.013.974 di biglietti staccati per la precisione. Solo nel 2015 erano un milione e 400mila. Tenendo conto degli spazi, l’Accademia il più fiorentino dei musei di Firenze – fa persino più visitatori degli Uffizi. «È come se in casa tua continuasse a entrare gente, ogni giorno, ininterrottamente, con scarpe, borse e cappotti. Avete idea di quanta polvere porterebbero dentro?». Ed ecco perché periodicamente, quattro-cinque volte all’anno, di lunedì, a museo chiuso (ma oggi aperto eccezionalmente a un gruppo di cronisti e di televisioni di mezzo mondo per assistere al rito della purificazione), la Galleria procede a una delle operazioni più delicate e ammalianti cui si possa assistere: la spolveratura del David. Eccolo, l’eroe biblico, il figlio di Iesse, il giovinetto destinato a diventare re d’Israele, divinizzato nel marmo dal Buonarroti. Tutto è pronto. Oggi i tecnici hanno montato il ponteggio, posizionato all’interno del recinto di protezione della statua: è un trabattello mobile alto sei metri, vicino ma non troppo. Ogni movimento è lento e sicuro. Poi inizia il trattamento. La restauratrice, Eleonora Pucci, spezzina originaria della Lunigiana, una laurea all’Opificio delle Pietre dure e una consuetudine con il David che la porta a parlargli durante il lavoro di spolvero, rimuove con precisione e leggerezza ogni granello di polvere, i filamenti, il laniccio proveniente dagli abiti delle migliaia di visitatori e che alla lunga, accumulandosi sulla superficie, possono togliere luminosità al marmo, ingrigendolo. Per farlo usa uno speciale aspiratore a zainetto, che passa con delicatezza su ogni centimetro della statua, alternandosi sui tre piani del ponteggio, dall’alto in basso, davanti, dietro e ai lati della statua. Poi, per le parti ruvide della statua, sfodera diversi pennelli con setole sintetiche delicatissime, e per le parti lisce piumini leggerissimi. Attenzione. È soprattutto nei riccioli dei capelli marmorei che si annida la polvere, ma anche ragnatele quasi invisibili. E poi, da qui sopra, si può monitorare da vicino l’intera opera, controllare lo stato di salute del David, verificare
eventuali anomalie, fotografando ogni centimetro di superficie.
Il lavoro è lungo, lento, accurato. Dura mezza giornata, anche di più. Un giornalista spagnolo chiede cosa serva tutto questo, da dove mai può arrivare tanta polvere. «Le è mai capitato di pulire una stanza a casa sua è la risposta di Cecilie Hollberg, che è uno dei direttori più importanti d’Italia, ma anche donna poi uscire un minuto, rientrarci e accorgersi che c’è già polvere in giro? Ecco, è la stessa cosa».
La verità è che il David, come tutti i capolavori dell’Accademia (lungo la «navata» che conduce alla Tribuna disegnata dall’architetto Emilio De Fabris nell’800 sfilano i quattro Prigioni, che Michelangelo iniziò a scolpire per la tomba di Giulio II, e la Pietà di Palestrina, mentre qui accanto, nella Sala del Colosso, c’è il gesso del Ratto delle Sabine del Giambologna), è un gioiello delicatissimo. Da tempo le visite sono aumentate in maniera esponenziale, ogni giorno qui entrano fra le tre e le cinquemila persone, con punte estive di 10mila. Che poi è il motivo per cui, qualche settimana fa, la direttrice, Cecilie Hollberg, tedesca fiorentinizzata che conosce Dante anche meglio di Goethe, citando il Purgatorio ma finendo per essere fraintesa, disse che «Firenze, schiacciata dal turismo, è diventata una meretrice». Voleva dire che lei stava cercando di fare qualcosa per alleggerire la pressione della grande massa di visitatori che si concentra solo sulle opere e i monumenti più celebri e più scontati, come il «suo» David. E infatti ha riallestito e re-illuminato, prolungandone l’orario di apertura, la magnifica gipsoteca della Galleria, a due sale di distanza dal capolavoro di Michelangelo, diversificando il flusso di turisti, sparpagliandoli per tutto il museo. E il suggerimento – ma questo lo diciamo noi – si potrebbe girare alla stessa città di Firenze, differenziando e allargando quello che sembra essere l’unico tour d’arte concepibile: Accademia, piazza della Signoria, Duomo, Uffizi, Ponte Vecchio, Palazzo Pitti...
Il proposito è coraggioso. E l’unico che può dare risultati, alla lunga. Ma intanto il David – eikón, simulacro religioso, simbolo dell’Uomo, sinonimo di Perfezione, citazione pop – attira a sé ogni cosa, assorbe tutto, non solo la polvere. Tutti vogliono lui, e lui si presta a tutto. Ed ecco l’ultima grande battaglia di Cecilie Hollberg e del ministero della Cultura: vietare lo sfruttamento a scopo di lucro, senza autorizzazione, dell’immagine del David, un’opera d’arte declinata impunemente e illegalmente (ora è proibito da una sentenza di Tribunale) nei peggiori gadget possibili: calamite, grembiuli, portamatite, felpe, cover del cellulare, boxer e persino – stampando le parti intime su una borsa griffata – accessori di lusso. Parola che non è automaticamente sinonimo di Bellezza.