il Fatto Quotidiano, 20 febbraio 2024
Coca-Cola, Chanel e Rolex: i brand nei brani (musicali)
Codacons, Antitrust e Unione nazionale consumatori hanno spesso avviato istruttorie sull’inserimento nei videoclip musicali di pubblicità non opportunamente segnalata: a saltare agli onori delle cronache era stata Mille, la canzone di Fedez, Achille Lauro e Orietta Berti, sponsorizzata dalla Coca-Cola, che, però, non era un caso su mille.
Marchi come la suddetta cola o le Lucky Strike, comparvero molti anni fa nei brani di Vasco Rossi, ma erano casi isolati, sporadici e soprattutto beffardi e ironici; oggi, viceversa, inserire i brand all’interno della musica è una prassi consolidata e difficilmente trascurabile: innumerevoli – forse troppi – sono i brani che citano i marchi, con testi che arrivano a contarne anche cinque contemporaneamente. Basti pensare a Stone Island e Air Force di Capo Plaza, Peter Parker di Ghali, Ciao bella e G63 di Sfera Ebbasta, 2 secondi e So fly di Geolier, Niente e Purosangue di Luchè, Lacrime di piombo di Blanco…
Così fan tutti, e immediatamente ci si ritrova in un mare di pubblicità e réclame, da Adidas a Yves Saint Laurent, da Michael Kors a Nike, da Moncler a Chanel, dalla birra alla Red Bull, dagli orologi ai Ray-Ban, dai gioielli all’alta moda… Indicativa, in tal senso, la promozione di Annalisa ad ambassador di Yves Saint Laurent dopo l’esplosione del tormentone Bellissima, in cui, più volte, ricorre la nota maison francese.
La presenza musicale dei brand è diventata quasi strutturale, sistematica, trasversale a etichette discografiche, generi, interpreti e autori, a volte diversissimi fra loro: esistono forse accordi commerciali alla base? A questa domanda Warner non ha dato risposta, mentre Universal, negando qualsiasi tipo di rapporto economico coi marchi, ha precisato: “Le innumerevoli citazioni di brand nei testi sono esclusivamente frutto della libera espressione creativa degli autori”.
“Innumerevoli” è proprio il caso di dirlo: oltre ai produttori musicali, come dovrebbero comportarsi le piattaforme o le radio che distribuiscono le canzoni “griffate”? Segnalando la presenza dei marchi come già fanno con i contenuti espliciti, volgari e/o offensivi?
Arte o marketing subliminale? Al cinema, nelle serie o nei programmi televisivi, è obbligatorio ad esempio segnalare la presenza di prodotti a fini commerciali. E nella musica?
Dunque, come può considerarsi l’oramai enorme, diffusissima presenza dei marchi all’interno delle canzoni? Una moda o una strategia? Interrogato a riguardo, l’Antitrust risponde citando l’articolo 22 del Codice del consumo: “Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista non indica l’intento commerciale della pratica stessa, nonché quando ciò induce, o è idoneo a indurre, il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.
È illecito inoltre, come recita l’articolo 23 dello stesso codice, “impiegare contenuti redazionali nei mezzi di comunicazione per promuovere un prodotto, qualora i costi di tale promozione siano stati sostenuti dal professionista senza che ciò emerga dai contenuti o da immagini o suoni chiaramente”. Quindi, al di là degli eventuali accordi di tipo economico tra brand, etichette o artisti, sembrerebbe bastare la sola presenza di marchi non adeguatamente segnalati in spazi non pubblicitari a configurare un’ipotesi di pubblicità occulta: nel caso specifico, pubblicità travestita da semplice canzone. Tale evenienza potrebbe non riguardare solo il consumatore, ma anche eventuali competitor aziendali, stando a quanto previsto dall’articolo 2589 del Codice civile in materia di “concorrenza industriale sleale”.