il venerdì, 23 dicembre 2021
Un documentario su Eduardo
Nella prima famiglia che Eduardo mette su carta, c’è un’accusa di uxoricidio. Ha 20 anni e inizia così il suo percorso da commediografo, con Farmacia di turno, portata in scena da Vincenzo Scarpetta, un atto unico dal finale aspro. Il farmacista Saverio si fa una ragione dell’abbandono di sua moglie, andata via di casa per vivere con un altro uomo. Solo che la di lei cameriera per errore prende dalla di lui bottega un veleno per topi e amen. L’artista che ancora qualcuno spaccia per buonista esordisce così, con una tragedia domestica in chiusura di un’opera pensata per far ridere.
Nella seconda, Uomo e galantuomo, c’è un adulterio, e nel copione che più tardi segnerà il debutto al cinema-teatro Kursaal della sua nuova compagnia, la Teatro Umoristico I De Filippo, con i fratelli Peppino e Titina, si presenta questo tipo bizzarro che costruisce presepi in perenne scontro con suo figlio e in delirio per la figlia, i Cupiello, il primo nucleo di una poetica, l’incapacità di parlarsi, perfino dentro casa, dentro la propria famiglia. Se questo è un buono.
Arriva adesso un documentario a raccontarci dall’interno com’era la famiglia di Eduardo, le sue gioie, i suoi drammi, i suoi lutti. Una famiglia che nel titolo dell’autobiografia scritta nel 1976 Peppino definì “difficile”. Complessa, diremmo oggi dando il giusto valore a certe irregolarità, allargata, molto moderna, in anticipo sui tempi.
Il nostro Eduardo, regia di Didi Gnocchi e Michele Mally (prodotto da 3D, Andiamo Avanti, Sky Arte, con il contributo della Fondazione Eduardo De Filippo), sarà su Sky Arte la sera di Natale alle 21.15 e poi, presentato da Rai Documentari, su Rai 1, ai primi di gennaio, per proporre un De Filippo meno noto, privato, l’uomo che sacrificò tutto o quasi al genio teatrale, nel gelo – dirà – per seguire la chiamata. “Sono cresciuti i figli e non me ne sono accorto”, sono le parole pronunciate durante la sua ultima apparizione pubblica, una premiazione a Taormina, un mese prima della morte, a inizio autunno 1984. I figli, due: Luca e Luisella, amatissimi, la gioia più grande e il dolore più profondo. Il primo in scena con lui sia per il debutto nel ruolo di Peppeniello Sciosciammocca in Miseria e Nobiltà, sia in occasione dell’ultima recita di Eduardo, per Sik Sik l’artefice magico, nel 1980 a Milano. Luisella invece è morta a poco più di dieci anni quando Eduardo ne aveva 60, figlia del suo secondo matrimonio con l’attrice e cantante Thea Prandi, rimasta sola sulla neve con la tata e il fratellino al Terminillo.
Carolina Rosi, figlia del regista Francesco, terza moglie di Luca, racconta che solo una volta ha sentito da suo marito quel racconto straziante, la morte della bimba tra le sue braccia. Avvertirono Eduardo che era in scena al Quirino di Roma con Sabato domenica e lunedì, Thea pure lei fuori per una seduta dal dentista. Luisella si era sentita male giocando a ping pong. Qualche tempo prima era caduta battendo la testa. Il nostro Eduardo la mostra felice, ancora sorridente, sulla neve, in quello che è il passaggio più lirico. De Filippo volle restare da solo con la piccola già nella bara, le scrisse un bigliettino e lo lasciò scivolare accanto a lei per sempre. La sera dopo era in palcoscenico a recitare. Il teatro lo esigeva. Il pubblico lo capiva. In Vita di Eduardo (Mondadori, 1993), Maurizio Giammusso riferisce che uno spettatore gli scrisse: “Le voglio bene. Mia moglie e io abbiamo pianto per lei, quando lei non poteva perché stava recitando”.
Numerosi sono i filmini di famiglia inediti e le lettere poco note, gli scambi appassionati o dolenti di parole tra Eduardo e le persone che gli stavano vicino. Come Titina che gli scrive di essere buono e generoso, invitandolo “a interpretare da pari tuo questo enorme protagonista padre sul palcoscenico della tua vita”. Gli chiedeva, in sostanza, di tornare sotto lo stesso tetto di Thea, vicina alla morte, e di dedicarsi a Luca, sacrificando del tempo al nuovo amore Isabella Quarantotti, madre di Angelica Ippolito, che nel documentario la racconta come libera, spregiudicata, divertita, ribelle. “Amo quel suo viso scavato”, scriveva lei sul suo diario. Per un anno si tenne lontano, sarebbero poi rimasti insieme fino alla fine, uniti pure nell’impresa della traduzione in napoletano della Tempesta di Shakespeare.
Tre mogli, ciascuna diversa dall’altra eppure tutte allo stesso tempo forti e autonome, accanto a un uomo che non era un dongiovanni – come testimonia la costumista Raimonda Gaetani – ma incantatore sì. La prima era stata l’americana Dorothy Pennington, che non smetterà di scrivergli anche dopo la separazione e l’annullamento del matrimonio per invitarlo a non spegnere il fuoco della passione per il teatro, in nome del bisogno economico che lo spingeva invece verso il cinema.
Scriveva per sé, dice a un certo punto Carolina Rosi, eppure il suo personaggio più famoso è Filumena Marturano. Ed è sorprendente la circolarità delle vite di Eduardo e Luca, la loro coincidenza in certi passaggi sentimentali, gli stessi tre matrimoni, come tre sono i nipoti – Matteo, Tommaso e Luisa – che oggi portano quel cognome e hanno gli stessi trent’anni dei De Filippo al Kursaal.
Non recitano. Hanno scelto altre strade. Tommaso è architetto, si occupa della Fondazione dedicata al nonno, lavora per dare una seconda chance ai ragazzi in difficoltà nel napoletano, come all’istituto per minori di Nisida. Luisa ha ereditato l’amore per gli animali: si occupa di cavalli. Matteo fa lo chef, ha un ristorante a Madrid. Al telefono dice che “Eduardo era il nonno dove si andava la domenica a mangiare. Ricordo questa pasta al pomodoro che preparava con la ricotta dentro. Eduardo era per me una domenica, un sabato, una festa. Questo documentario è stato un modo per vivere un’avventura insieme con la mia famiglia. La vita ci ha portato in posti diversi, ci vediamo spesso ma non riusciamo a condividere tutte le cose importanti. Rivedere certe foto, certi filmini, ha smosso qualcosa dentro. All’inizio ho seguito dei corsi di recitazione anch’io, fatto piccoli ruoli, poi ho capito che non era il mio percorso. Ma ho seguito la sua scia scegliendomi un lavoro altrettanto appagante. Sono stato fortunato. La cucina ha in comune con il teatro la dedizione agli altri, il fare qualcosa per qualcuno”.
Ci sono Pier Paolo Pasolini, Totò, Carmelo Bene. E c’è il lascito di Eduardo nel suo ultimo discorso, tuttora da brividi: “Senza mio figlio, io me ne sarei andato all’altro mondo tanti anni fa. È stata tutta una vita di sacrifici e di gelo”.