Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 19 Lunedì calendario

La pietà per i cani e quella dimenticata per gli esseri umani

La soluzione più giusta e caritatevole, umana e al tempo stesso animalista, sarebbe tornare alla black list per limitare, e in certi casi vietare, il possesso dei cani che l’uomo ha “inventato” per aggredire l’uomo. Abolito l’elenco delle 134 razze pericolose, che fu stilato nel 2003 dal ministro Sirchia, chiunque – tranne i delinquenti pregiudicati può comprare rottweiler, bulldog, dobermann, dogo argentino, pitbull... e tutti quei cani che sono potenziali macchine da guerra.
Perché, sempre più italiani, invece degli amici dell’uomo, scelgono i nemici dell’uomo? È vero che in queste bestie c’è la bestialità degli uomini, ma le aggressioni in Italia sono più di 70 mila all’anno e c’è qualcosa di malato nel negare la pericolosità di alcune razze.
Sicuramente c’è uno smarrimento nella mancanza di pietà per le vittime come Paolo Pasqualini che, a 39 anni, cercava un rimedio alla sciatica correndo nel bosco di Manziana, alle porte di Bracciano.
Solo gli stupidi pensano che ora si debbano “punire” i tre rottweiler che lo hanno sbranato, ma il copione della ferocia si ripete sempre uguale. E anche questa volta «la scena era da film horror» ha raccontato il capo dei guardiaparco che li hanno catturati: le mascelle allentate, i denti come lance di cancello, il rosso del sangue che macchiava il pelo animale.
Eppure in troppi ora si commuovono più per la sorte di Arian, Aron e Apollo, che per quella di Paolo, che non tornerà nel supermercato dove lavorava, nella facoltà di Scienze motorie che frequentava, nella casa dove viveva con la madre e la sorella.
Nell’eccesso di difesa dei tre cani c’è un conto aperto con gli uomini, con l’umanità e con sé stessi che si riassume nella tanto famosa quanto stupida battuta: «più conosco gli uomini e più amo gli animali». Ci sarà un processo per omicidio colposo ai padroni dei cani, una coppia di coniugi che si sono separati, ma lui è rimasto proprietario e dunque responsabile dei cani mentre a lei appartiene il terreno da dove sono scappati. La mamma e la sorella di Paolo chiedono giustizia, mentre gli “esperti” somigliano al Corvo, alla Civetta e al Grillo parlante diPinocchio quando disputavano sulle cause e i rimedi: museruole, precedenti aggressivi e «bisogna conoscere la genetica», «lo stress», «sapere se ringhiavano alla persone in movimento innescando il predatorio», e «i padroni come li trattavano?», «e dov’è l’educatore?».
La verità è che in quei tre molossi non ci sono Argo, Lilli il vagabondo e neppure la carica dei 101, ma ci sono tutti i ventimila cani potenzialmente pericolosi che, secondo il Codacons, «vivono in Italia, con un incremento del 25 per cento ogni tre anni». Tutti come il cane Gudrun che, nelle pagine di Vittorini, fa tremare l’uomo; tutti come i cani di John Fante che portano a spasso il malessere dei loro padroni. «Il mio cane come me» diceva già Curzio Malaparte. È per amore dei cani che andrebbero vietati.