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 2024  febbraio 19 Lunedì calendario

Salviamo gli insegnanti sconfitti dagli influencer

«Come possiamo rispettarla, prof, se viene a scuola con una Punto bianca senza nemmeno gli specchietti in tinta?!». Me lo ringhiò anni fa uno studente a cui cercavo di imporre la disciplina scolastica. Ripenso a quell’affronto ogni volta che un alunno insulta, schernisce o addirittura aggredisce i suoi professori, com’è accaduto di recente a Parma. Ci ripenso perché, al di là dei casi specifici, questi episodi, purtroppo sempre più frequenti, s’inscrivono nell’orizzonte più ampio della verticale caduta del prestigio degli insegnanti. L’aneddoto autobiografico mi pare calzante per il seguente motivo: se, nei decenni della contestazione giovanile, quel prestigio fu intaccato da ragioni politico-ideologiche, nei decenni successivi è precipitato per motivi socio-economici. I professori italiani, com’è noto, sono tra i peggio pagati d’Europa (al 31 esimo posto, davanti solo a Portogallo e Grecia) e, purtroppo, i figli della nostra società, nella quale il culto del denaro cresce in misura proporzionalmente inversa alla distribuzione della ricchezza, li disprezzano per le utilitarie con cui si recano al lavoro (che qualche volta, addirittura, esibiscono specchietti retrovisori non verniciati o altri imbarazzanti dettagli).
L’impoverimento economico non basterebbe, però, da solo a causare il declino sociale del ceto insegnante. Oggi è l’intera società che sembra remare contro la scuola. A professori malpagati, trascurati, dimenticati, viene affidato nominalmente il compito cruciale di educare, istruire, incivilire le nuove generazioni ma la società, appena fuoriesci dal perimetro dell’edificio scolastico, muove in direzione opposta e contraria minando sistematicamente la loro autorità.
Lo fa in svariate maniere, molte delle quali riconducibili al concetto di populismo se con esso intendiamo genericamente la situazione in cui qualcuno o qualcosa viene innalzato ad autorità indiscutibile perché si ritiene espressione di bisogni, desideri o volontà popolare.
Innanzitutto, ad esautorare gli insegnanti, esponendoli inermi alla proterva aggressività giovanile, contribuisce il populismo estetico. Da tempo iprofessori italiani vanno perdendo ogni autorità nello stabilire il valore dei prodotti culturali che contribuiscono potentemente a plasmare l’immaginario collettivo, trovandosi costretti a subire e non a guidare le scelte dei loro allievi.
Ne ha fornito un esempio inquietante l’ultimo festival di Sanremo quando ai giovani divi di una serie televisiva per teenager sicuramente diseducativa, e forse addirittura criminogena, è stata attribuita l’autorità morale a trattare un tema sensibile quale quello della violenza di genere recitando un banale testo sull’argomento. Nel frattempo, a decine di milioni di telespettatori di ogni età veniva richiesto diomaggiare un idolo giovanile musicalmente scadente e moralmente dubbio in base al mero criterio del televoto. In questo modo, in sole cinque serate di programmazione, la Rai, incoronando con una forza impareggiabile sottoculture deleterie, invalidava decenni di sforzi da parte di milioni d’insegnanti chiamati a fornire un’educazione estetica e civica ai loro studenti.
Da quando gli influencer sono diventati enormemente più influenti degli insegnanti, al populismo estetico si aggiunge, poi, quello sociale. Non c’è, infatti, tema rilevante che non venga, oramai, accaparrato da questenuove figure il cui scopo prevalente, e spesso unico, è l’autopromozione ottenuta usurpando l’autorevolezza che un tempo fu della scuola, della cultura, della scienza (e della politica). Un solo esempio tra mille. Di recente, uno di questi influencer ha pubblicizzato i propri disturbi psichiatrici autorizzandosi a parlarne in base alla retorica populista del “dar voce a chi è senza voce” etc. etc. Si è, così, accreditato quale autorità in materia di disturbi d’ansia, alimentari, attacchi di panico e depressione, vale a dire quell’immenso continente di sofferenza psichica in cui si aggirano dolenti e smarriti a milioni i nostri ragazzi. La scienza, però, ha dimostrato da tempo che questo genere di disturbi prolifera proprio a causa della costante sovraesposizione delle esistenze adolescenziali al giudizio altrui promossa dai social media di cui quell’influencer è un campione assoluto (fino al punto di trasmettere in streaming la vita dei suoi figli dal giorno della loro nascita). Insomma, quell’influencer è causa della fragilità psichica dei nostri alunni ma pretende di esserne la soluzione.
Infine, il populismo politico. Il ministro della Pubblica istruzione ha subito annunciato un disegno di legge sulla condotta scolastica promettendo pene sicure e severe per gli studenti aggressori.
Benissimo.
Nulla in contrario. Salvo che non è una soluzione. Così come affrontare i problemi sociali con i soli strumenti penali conduce allo Stato di polizia, conferire ai docenti autorità repressiva senza ripristinare l’autorevolezza perduta trasforma la scuola in una caserma.
Il compito che attende chi davvero abbia a cuore il futuro delle nostre scuole è molto più arduo, lungo, complesso. Ci vuole pazienza, tenacia, intelligenza. La scuola, in questo frangente drammatico, va compresa, onorata, amata. Se vogliamo che i nostri ragazzi rispettino i loro insegnanti, dobbiamo rispettarli per primi noi adulti. Quanti di voi, in tutta onestà, potrebbero oggi affermare di apprezzare, rispettare e onorare il lavoro oscuro e luminoso, malpagato e prezioso svolto ogni giorno nelle nostre scuole da un esercito di insegnanti inviati sciaguratamente a combattere su posizioni perdute?