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 2024  febbraio 17 Sabato calendario

Intervista a Gigi D’Amato

Il riflettore è suo, dell’artista. Ma c’è chi gli sta a un passo, di lato, dietro, davanti, quando è necessario; chi amplifica il riflettore stesso, o evita che sia troppo incandescente, accecante, illusorio. Intenso quanto breve. Gigi D’Amato il riflettore lo guarda da decenni. Sulla carta d’identità soggettiva ha scritto “agente” o “manager”, ha seguito da Patty Pravo a Franco Califano (“anche per me è stato un maestro di vita”), ha realizzato i suoi sogni portando sul palco i miti dell’infanzia come Bob Dylan (“è stato meno scontroso di quanto temessi”) o Franco Battiato (“prima di entrare in scena aveva una serie infinita di riti”). Ultimamente la sua categoria professionale è stata bollata come “male assoluto”, specialmente quando si parla di Rai (“lì il vero problema è il continuo avvicendarsi dei dirigenti”). Lui alla fine mantiene intatto il lieve sorriso di chi sa di “aver visto cose…” e quando alza il tono, o scatta un po’ di emozione, un lieve accento pugliese fa capolino tra una vocale e una consonante, con il retrogusto del “chi l’avrebbe mai detto?”…
Qual è la funzione dell’agente?
Mi sento un artigiano.
Qui scatta il romanticismo.
Ho rifiutato di seguire due conduttori, uno dei quali ha un programma, perché non voglio delegare ad altri il mio lavoro; (sorride) non rifiuto perché sono ricco di famiglia, ma per fortuna le mie entrate arrivano dall’editoria, per il resto mi affido a situazioni non stressanti, che si confanno a me.
Cosa intende?
Gli artisti vanno seguiti, hanno continue necessità, magari ti chiamano ogni dieci minuti, danno sfogo al loro ego, hanno bisogno di qualcuno che li ascolti. Li capisci e rassicuri. E questo quando lavorano.
Quando “non”…
In quelli fasi non basta lo psicologo o il neurologo, neanche se entrambi sono propensi ad assegnare fattori chimici; (pausa) per questo non capisco gli agenti con molti artisti, non è umanamente possibile seguirne più di un tot.
Quante ora passa al cellulare?
Lasciamo perdere.
Argomenti preferiti?
I perché e i percome: perché Tizio ha una trasmissione e io no, perché ha una copertina sul settimanale e io no, perché guadagna più di me.
Tra i suoi assistiti c’è stata Patty Pravo.
Fine anni 90, era nel suo momento peggiore: la sfida è stata riposizionarla perché era fuori da tutto.
Come?
Una delle prima decisioni è stata quella di festeggiare all’Arena di Verona i 40 anni de La bambola; (sorride) contattai la dirigenza dell’Arena e la conversazione fu a tratti surreale: “Va bene, quel giorno lo spazio è libero. Ma chi è l’artista?”. “Patty Pravo”. “No, forse non lo sa: ma lo spazio è grande”. “Non si preoccupi”.
È stato complicato?
Seimila biglietti venduti.
Non il sold out.
Gli altri sono andati via come omaggio e un investimento di 400 mila euro per l’allestimento. Grazie al pieno ho messo in piedi un’operazione con la Sony e ho quintuplicato il suo cachet per le ospitate in televisione. Questo è il mio lavoro.
Per quanto tempo con la Pravo?
Insieme per dieci anni; con lei ho vissuto un’epoca d’oro e sono uno dei pochi che è riuscito a guadagnare. Con Nicoletta, altri, compreso il grandissimo David Zard, ci hanno rimesso; (sorride) eppure è stato proprio Zard a passarmi Nicoletta: “Gigi, la devi prendere”. “Che ti ho fatto di male? Dove ho sbagliato?”. “Fidati…”.
È così complicata la Pravo?
Lo dico con affetto, ma lei è una pazza seria; (sorride, molto) mi ha raccontato dei dialoghi tra lei e Fellini, tutti basati su una visione altra della vita, totalmente surreale, carica di bugie e significati celati.
Franco Califano.
Esperienza tragica.
Che ha combinato?
È stato il primo artista con il quale ho lavorato dopo il mio arrivo a Roma dal Salento. Per me rappresentava il mito.
Passo indietro: come mai a Roma?
Per studiare, poi conosco un ragazzo che collabora con Maurizio Costanzo, mi coinvolge per guadagnare qualcosina e mi affidano gli autori dei programmi: dovevo seguirli. Da lì, un giorno mi trovo davanti a Califano e capisco che ha bisogno di soldi: era totalmente a secco.
Gli artisti sono soggetti ad alti e bassi non solo emotivi…
Scherza? Passano con una facilità devastante dal ruolo di munifici sceicchi a quello di bisognosi.
Insomma, Califano.
Organizzo una cordata di persone, gli porto i soldi e sparisce.
Sparisce?
Era sotto contratto con un’altra persona…
Dolore.
Di più, a pezzi: ero giovane, ci credevo, e poi dovevo rispondere a chi aveva messo i soldi.
Quindi?
Dopo qualche tempo risolve il contratto, mi chiama, iniziamo a lavorare, pubblichiamo l’album Giovani uomini, ma l’operazione non va bene. Anzi, viene coinvolto in un caso di pedofilia.
Pedofilo, no.
Ho passato molto tempo a casa di Franco: in quelle stanze ho visto di tutto, ma mai una minorenne.
Spieghiamo il “tutto”.
(Ride) Sorelle, mamme prima, figlie poi; amiche, amiche delle amiche…
Di casa Califano si favoleggia della stanza dell’amore.
Non era una favola, era un mondo inserito in un contesto teorico, quasi filosofico.
Traduciamo pure questo.
Aveva anche velleità da regista e in quella stanza oltre a una serie varia, vasta, infinita di giochini tipo falli o manette, c’erano le telecamere e la storia delle pedofilia nasce da una delle registrazioni.
Perché?
Franco organizzava delle riunioni tra uomini per vedere i filmati, era una sorta di dibattito, di cineforum; una delle protagoniste lo ha saputo, ha preso il video, ha montato le immagini e ha lanciato l’accusa. Tutto scoppia a ridosso del lancio del disco, Domenica In cancella la nostra ospitata e di seguito tutto andò a morire.
Una batosta.
Totale, non solo per la questione prettamente economica.
La questione economica non sarà stata secondaria.
Franco con i soldi era una tragedia, a confronto Nicoletta è stata una passeggiata di salute.
Esempio.
Non aveva alcuna concezione dei valori e poi non si ricordava nulla; (ride) un giorno arriva a casa un suo amico imprenditore, aveva problemi con alcuni che non lo pagavano, quindi butta lì un’idea mascherata da battuta: “A Fra’, tu che sei stato in galera, non è che conosci qualcuno in grado di aiutarmi a recuperare la somma?”. Franco ridendo risponde “sì”. Passa del tempo, l’amico torna e riprende l’argomento: “Allora Fra’, tutto bene? Hai risolto?”. Franco neanche si ricordava di chi o di cosa.
Alla fine?
Ha finto la soluzione del problema.
Come?
(Ride) Ha tirato fuori i soldi di tasca sua.
Perfetto.
Dopo anni io e lui litighiamo, lo porto in causa e vinco. Il tribunale lo condanna a pagarmi 50 mila euro. Tento il recupero ma era tutto sequestrato, non aveva di nuovo niente. Non era aggredibile. Rinuncio. Passano tre anni e grazie a Rosario (Fiorello, ndr) torna in auge, torna il Califfo. Una mattina mi contatta il suo avvocato, donna molto bella: “Franco intende transare”. Io non ci credevo, tanto che al mio legale confido: “Vai, basta pure un euro”.
Invece?
Il legale di Califano ne ha offerti 40 mila. Capito quanto era strano? Per ringraziarlo gli ho inviato 100 rose blu e un biglietto: “O hai perso una scommessa sull’Inter oppure ti sei innamorato dal tuo avvocato”; (pausa) per lui esistevano solo l’Inter e le donne. Era un vero maestro.
Pure per lei?
Delle donne mi ha insegnato tantissimo, prima ero una tragedia con l’approccio. Lui di tecnica era straordinario; (resta zitto, guarda un punto della vita ben definito) ero a Milano, convention piena di russi, vedo una ragazza bellissima, allora prendo un biglietto e scrivo una delle frasi di Califano: “Mi hai spettinato il cervello”. Ha richiamato!
Califfo offriva consiglia pratici…
Non solo a me, a tutti. A cena, a casa sua, c’erano solo uomini, e anche personaggi famosi in attesa delle sue risposte; uno dei famosi spesso si accompagnava a transessuali e una sera lo portiamo all’hotel Hilton di Roma. Alla reception li fermano, insieme erano veramente equivoci e improbabili. Il famoso si incavola, era alterato. Si avvicina Franco e con la sua voce roca, ferma, seducente si rivolge al portiere: “Non sai chi è questa. È Donna Summer”. Sono saliti in stanza…
Quanto si è divertito?
Oggi mangio poco e non bevo più alcolici perché ho combinato tutto prima; il mio medico ripete sempre: “Paghi la precedente vita”.
Anche la droga?
Ecco, non ho mai visto Franco neanche accendere una canna.
Mai, mai?
L’ho accompagnato a un matrimonio a Napoli, a un certo punto un tipo si avvicina: “Dotto’, tutto a posto…”, io credevo si riferisse ai soldi e invece torna con un vassoio enorme, pieno di cocaina. Mi guarda, poi scandisce: “Lo dia al maestro, lui sa”. “Io non porto nulla”. Vado da Franco, gli racconto l’episodio, si raggela, prende il cappotto e se ne va senza neanche il cachet. La droga gli era già costata cara.
Appresso a Califano ha rischiato di perdersi?
No, sono troppo ipocondriaco e attento; e poi Bibi Ballandi (storico produttore televisivo, ndr) sosteneva che ho la predisposizione da cameriere, mi piace proteggere, mi piace stare vicino, magari piegato in avanti per un po’ di gobba.
Esagerato.
Con me gli artisti non si sentono in competizione; (pausa) sono riuscito a conoscere molti dei miei miti…
Tipo?
Bob Dylan o Ennio Morricone, una delle persone più simpatiche al mondo: passavamo ore a tavola solo per ascoltare le sue barzellette e i suoi racconti.
Ha vissuto la paura dell’artista prima di salire sul palco?
Quelli bravi non dico che provino terrore, ma vivono una grande emozione; mentre per assurdo ho rabbrividito con i non bravi perché salgono sul palco con una leggerezza fuori luogo; (pausa) Franco Battiato prima del concerto era digiuno, poi aveva una lunga serie di riti, di scaramanzie perfette per recuperare la giusta concentrazione. Altri invece mangiano, bevono e poi sono guai.
Si è mai sentito un uomo di potere?
Sì, soprattutto negli anni della prima Repubblica: in quel periodo ho avuto a che fare con la politica, avevo le giuste entrature e poi ho beccato una serie di concerti con cui ho guadagnato molto, tipo Eros Ramazzotti o i Simply Red; (pausa) in carriera ci ho rimesso solo con Laura Pausini e Gianna Nannini.
L’artista è riconoscente?
Quasi sempre, se le cose vanno bene il merito è loro, se vanno male la colpa è nostra. Il loro ego li costringe a cercare capri espiatori.
Qual è l’età mentale degli artisti?
La media è di quattro anni, anche con il fascino dei quattro anni; (pausa) ovvio, ci sono delle eccezioni: Carlo Conti è il miglior manager di se stesso e di gran lunga.
Lei chi è?
Mi ritrovo nel termine “assistente”; voglio risultare una figura presente, ma che brilla per assenza.