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 2024  febbraio 17 Sabato calendario

Il fallimento di Calvino: raccontare l’industria



N el 1957, Italo Calvino concedeva a Officina, la rivista di Pier Paolo Pasolini, il permesso di pubblicare un romanzo inedito, intitolato I giovani del Po. Come spiega l’autore stesso nella nota al testo, era un tentativo non riuscito di realizzare un romanzo operaio. Calvino scrisse nel 1950-1951. Poi decise di lasciar perdere. I giovani del Po, mai uscito in volume, viene ora pubblicato in Francia, per festeggiare (in ritardo di un anno) il centenario della nascita dello scrittore.
Il lavoro, la fabbrica, l’immigrazione, il Partito comunista, la lotta di classe, la grande città, lo scontro anche fisico tra comunisti e fascisti. L’aspirazione a trattare questi temi, alternandoli a momenti più «leggeri» e sentimentali, era comune a molti scrittori. Ne scegliamo due, per motivi di vicinanza non solo ideale con Calvino. Elio Vittorini scrisse, a puntate sulla rivista Solaria, il Garofano rosso (1933-1936) nella temperie del fascismo rivoluzionario e squadrista, decisamente antiborghese. Nel 1948, senza troppe correzioni, trasformò il libro alla luce della lotta di classe marxista, virando dall’estrema destra all’estrema sinistra, che forse sono più vicine di quanto crediamo. Con ingredienti molto simili a quelli dei Giovani del Po è cucinato Il sogno di una cosa, scritto da Pasolini nel 1949-1950 ma pubblicato soltanto nel 1962 da Garzanti. Anche Pasolini non era convinto del risultato. Il sogno di una cosa racconta il viaggio di alcuni giovani friulani in Jugoslavia per cercare lavoro. Finisce male. Nel «paradiso» di Tito si crepa di fame peggio che in Italia. Ma c’è spazio anche per le lotte contadine contro i padroni e per la repressione delle forze dell’ordine.
Nei Giovani del Po, Nino Torre si trasferisce a Torino da un borgo ligure in riva al mare. Vuole lavorare in fabbrica per capire meglio il mondo ed essere al centro dell’azione politica progressista. La vita in paese è troppo comoda e lenta.
Presto Nino si trova diviso tra la catena di montaggio e le spiagge del Po. In riva al fiume, d’estate, c’è l’intera città. I ricchi si mescolano ai poveri per cercare refrigerio nell’acqua «verde oro» del Po. Accade così che Nino incontri Giovanna. La ragazza appartiene all’alta borghesia. Tra i suoi amici ci sono alcuni neofascisti, che arriveranno allo scontro per le strade con Nino e gli altri lavoratori. Nella rissa si confondono la politica e la gelosia,
con una netta prevalenza della seconda. Nino si trova preso tra due fuochi: il crescente impegno sindacale e il desiderio di abbandonarsi all’amore con Giovanna. Ma del primo, il lettore troverà assai poco: giusto qualche accenno all’importanza delle questioni trattate. Al contrario, sono in primo piano sia la descrizione (a tratti magistrale) del fiume sia la descrizione (a tratti magistrale) di Giovanna. È molto chiaro quale parte della storia sia al centro dei pensieri di Calvino. Lo sbilanciamento è netto.
L’autore, nella nota già citata, spiega che scrisse Il Visconte dimezzato in reazione all’esperimento fallito dei Giovani del Po. Ma ci informa anche del fatto che cercò di catturare la natura della civiltà industriale altre due volte, prima e dopo I giovani del Po. In entrambi i casi, abbandonò l’impresa dopo qualche capitolo. Qualcosa non andava anche dal punto di vista stilistico: alcuni accenti dialettali fanno più colore che ricerca linguistica; e il frenetico rimbalzare dei dialoghi sembra innaturale.
Forse l’insoddisfazione per I giovani del Po suggerisce quanto di volontaristico ci fosse in un certo tipo di pur generoso impegno civile. Discorso che si può estendere, con le dovute differenze, a Pasolini stesso. La coscienza di classe interessa meno della coscienza e basta. Le riunioni dei sindacati e del partito sono un soggetto infinitamente meno affascinante delle gite in barca con una ragazza imprevedibile. Infatti, nel breve romanzo di Calvino, l’attenzione dello scrittore è per il fiume con le sue acque dal sapore «dolce cattivo e limaccioso». Soprattutto, il romanzo dei lavoratori diventa quasi subito il romanzo di Giovanna, la ragazza della buona società desiderabile e capricciosa. Forse Nino dovrebbe testimoniare l’approccio razionale alla realtà che si riteneva tipico del marxista. Forse Giovanna dovrebbe testimoniare la volubilità e la superficialità cinica delle classi abbienti. Fatto sta che la vita rimescola le carte, e le incertezze di Nino si rivelano profonde come le certezze di Giovanna. In questo aspetto, c’era sicuramente un romanzo in potenza, trascurato, forse a malincuore, a vantaggio del versante politico.
Al lettore, viene il sospetto che le ideologie siano invecchiate subito. Anzi, che non siano mai state giovani.