il Giornale, 17 febbraio 2024
Divorzi in crescita? È colpa anche della medicina
Una decina d’anni fa il direttore del giornale nel quale lavoravo mi mise sulla scrivania una notizia d’agenzia sull’ultimo rapporto dell’Istat: «Guarda», mi disse, «risulta che sono molto aumentate le separazioni e i divorzi fra gli anziani. Matrimoni che finiscono dopo 25, 30 o più anni. Fai un’intervista al professor Alberoni e (...)
(...) chiedigli qual è, a suo parere, il motivo». Gli dissi ovviamente che l’avrei fatta subito, ma con un po’ di presunzione aggiunsi: «So benissimo che cosa dirà il professor Alberoni. Dirà che è la conseguenza della secolarizzazione della società. Non credendo più in Dio, non si crede più neppure al matrimonio indissolubile. Mi dirà che nella società di oggi non esiste più il per sempre: ci spaventa tutto quello che dura per l’intera vita».
Presi dunque il telefono e chiamai Francesco Alberoni, esordendo così: «Professore, questo aumento delle separazioni dopo i sessant’anni dipende da quella secolarizzazione di cui ha scritto più volte, vero?». «Ma neanche per sogno», rispose lui. «La secolarizzazione c’entra poco o nulla. C’entra la medicina». «La medicina?», gli chiesi, stupito: «E perché mai? Che cosa c’entra la medicina?», «C’entra completamente», mi rispose.
«Fino a qualche decennio fa», argomentò, «un uomo di cinquant’anni era un rottame. Aveva lavorato tutta la vita in fabbrica o nei campi, era curvo con la schiena e senza denti. Quanto alla donna, a quell’età aveva partorito otto o nove figli e aveva il prolasso dell’utero. Insomma, né il maschio né la femmina erano desiderabili per alcuno, né in condizioni di salute tali per rifarsi una vita. E quindi, anche quando ormai si stancavano di stare insieme, si rassegnavano a continuare per quel poco che restava loro da campare. Oggi, con i progressi della medicina, a cinquanta e anche a sessant’anni sia l’uomo che la donna sono ancora in ottima forma e hanno la possibilità di rifarsi una vita con un’altra persona. È giusto così». «Ma professore», obiettai, «lei non ha sempre fatto l’elogio del grande amore?», «Ma certo, e lo faccio ancora», rispose: «Ma guardi che un amore che dura trent’anni è un grande amore. E faccia un calcolo: visti appunto i progressi della medicina e l’aumento dell’aspettativa di vita, i matrimoni di oggi durano come quelli di allora: una trentina d’anni. È la scienza che ha cambiato i costumi».
A quell’intervista ho pensato in questi giorni leggendo il libro Da una pillola all’altra (Bologna University Press, 127 pagine illustrate, 20 euro, prefazione di Vittorio Sgarbi) scritto dall’urologo Giuseppe Martorana, professore emerito dell’Alma Mater Studiorum, vale a dire dell’Università di Bologna, la più antica del mondo. Il sottotitolo è «Come sono cambiate le abitudini sessuali degli italiani dal dopoguerra a oggi». E come il lettore avrà già capito, sono state due pillole a cambiare tutto, o meglio a permettere che cambiasse tutto: quella anticoncezionale per le donne e quella contro l’impotenza, cioè il Viagra e i suoi parenti, per i maschi.
Ma è stata la scienza a cambiare i costumi sessuali oppure sono stati i nuovi costumi sessuali a sollecitare la scienza a inventarsi qualcosa? È una questione che Martorana lascia aperta. «Inevitabile che mi sia capitato di chiedermi, nel corso della mia carriera, quanto il progresso clinico (farmacologico, tecnologico, chirurgico) abbia modificato le abitudini della sessualità o quanto invece non siano stati i bisogni della società ad indurre certe accelerazioni della scienza medica. Che gli uni abbiano influenzato gli altri e/o viceversa? Impossibile dirlo. Fatto sta che l’urologo è stato testimone di questa trasformazione clinico-sociale».
E il libro di Martorana è, appunto, una testimonianza, un testo al tempo stesso scientifico (ma scritto in modo tale da essere compreso da tutti) e storico. L’Italia del dopoguerra, il primo voto alle donne, la siciliana Franca Viola (1965) che si ribella al matrimonio riparatore con il suo stupratore, l’abolizione di quegli articoli del codice penale che punivano solo l’adulterio delle donne e che al contrario consentivano agli uomini il delitto d’onore; la legge sul divorzio, la rivoluzione sessuale del Sessantotto e così via, in un crescendo di cambiamenti che, forse, senza l’invenzione della pillola anticoncezionale avrebbero avuto un corso differente. In Italia la pillola, che negli Stati Uniti era commercializzata dal 1960, fu autorizzata solo nel 1967, ed esclusivamente per fini terapeutici.
Quanto ai maschi «è nei primi anni Ottanta che si assiste a una vera esplosione dell’andrologia», scrive Martorana. «Cadono molti tabù, l’impotenza non è più una colpa né una vergogna come ai tempi del film Il bell’Antonio (1954), ma una malattia da curare». Si scoprì che «la disfunzione erettile colpisce tre milioni di italiani».
Il Sildenafil, commercializzato con il nome di Viagra, viene approvato dalla Food and Drug Administration nella primavera del 1998 e c’è un fatto che dimostra come fosse già cambiata la morale pubblica: «Per la scoperta di questa molecola, Robert Furchgott, Louis Ignarro e Ferid Murad furono insigniti del premio Nobel per la Medicina, al contrario di quanto era successo a Pincus dopo la scoperta della pillola anticoncezionale». Un po’ di maschilismo anche nella storia della medicina, insomma.
«L’impatto del Viagra nella società», scrive Martorana, «è stato profondamente trasformante: è aumentato il numero stesso dei rapporti sessuali che gli italiani intrattengono durante la settimana. È cresciuto esponenzialmente anche il numero delle amanti, è aumentato sensibilmente il numero dei tradimenti e quindi di divorzi, anche in coppie ultrasettantenni, un fenomeno che nei decenni precedenti non sarebbe mai avvenuto (...) Jean-Paul Decorps, presidente dell’Unione Internazionale dei Notai, ha dichiarato che da quando esiste il Viagra l’apertura dei testamenti si è totalmente rivoluzionata: sempre più spesso il ricco zio vuole sposare la badante». Secondo i dati dell’Istat, i divorzi in Italia sono stati 37.573 nel 2000, 54.456 nel 2009 e 82.469 nel 2015. Per quanto riguarda gli ultrasessantenni, si è passati, nell’arco di dieci anni (2005-2015) da 4.247 a 8.726 divorzi.
Così la chimica ha rivoluzionato la società e la società ha rivoluzionato la chimica.
Ma se ci fosse una controrivoluzione?
Pochi giorni fa lo psichiatra Paolo Crepet, citando uno studio, ha detto che un terzo della Generazione Z (fine anni Novanta-primi anni Duemiladieci) dichiara di non fare sesso, un terzo di farlo solo online, un terzo di farlo ma non provare un granché di soddisfazione. «Come mai», si domanda Martorana, «risulta invece che gli anziani (gli over 60, che in Italia sono il 28,7 per cento della popolazione, mentre gli over 65 sono il 22,5) fanno sicuramente più sesso? È un fatto generazionale? Evidentemente sì».