La Stampa, 17 febbraio 2024
La strage degli operai
Silenzio. E in questo silenzio che, alle cinque di sera, regna davanti allo squarcio nel corpo di quello che un giorno diventerà un supermercato, si alza soltanto la voce di una donna: «Assassini. Assassini». Lo urla con rabbia e va via. E chi è lì a guardare attraverso quella ferita nel muro l’enorme trave di cemento, spezzata e piegata su se stessa, in una forma innaturale, annuisce, ma non replica.
Via Filippo Mariti: quartiere Novoli di Firenze. In quello che un tempo era il Panificio Militare, sorgerà un supermercato Esselunga. I lavori vanno avanti da mesi. L’impresa appaltatrice è la Aep, Attività edilizie pavesi, ma dentro l’area recintata lavorano almeno una quindicina di aziende in subappalto. Alle 8,52 di ieri Luigi, il pompista, l’operaio che regge il tubo da cui esce il getto di cemento, che formerà la soletta, era in piedi sulle lastre prefabbricate. Con la pompa in mano: stavano posando il calcestruzzo sull’angolo più esterno del cantiere, verso via Mariti. Alle 8,52, quella trave che adesso vedi dallo squarcio, s’è sganciata dal supporto. Una grossa porzione della struttura ha vibrato per qualche secondo. Poi è collassata la zona su cui stavano facendo i lavori. E crollando ha sfondato un piano, poi un altro e un altro ancora. Tutto giù, uno strato sull’altro. Giù, giù, fin sottoterra dove un giorno, quando il supermercato sarà finito, ci saranno i posteggi. E ha trascinato con sé gli uomini che stavano livellando il calcestruzzo e quelli completavano altre opere nei piani più bassi. Luigi l’hanno trovato quasi subito. Morto. Altri tre operai, sono rimasti feriti, e adesso sono in ospedale. Alle otto di sera il resto della squadra (almeno tre persone) è ancora sepolta da metri di lastre di cemento prefabbricato, putrelle spezzate, tondini d’acciaio schizzati fuori dalle armature. Altri due, fin dal mattino, già vengono indicati come morti. E gli altri? Sono lì, da qualche parte. E se siano miracolosamente sopravvissuti, o se anche per loro, ormai, non si può far altro che pregare, si saprà quando i pompieri riusciranno a calarsi, a smuovere le macerie, portare soccorso o raccogliere i corpi. Sono, cioè, in quello che gli operai dai calzoni sporchi di cemento e le scarpe antinfortunistiche imbrattate di fango, al bar dall’altra parte della piazza, chiamano “l’inferno”.
Alle 9,24 di ieri Gionni Desiato, il capocantiere dell’impresa che ha in appalto soltanto i lavori di sistemazione dell’area attorno al futuro centro commerciale, ha ricevuto una telefonata da uno dei suoi uomini. «Gridava che era venuto giù un pezzo dell’edificio. E che era crollata un pezzo di parete esterno, sfiorando il furgone scuolabus, fermo lì vicino» racconta. E sembra di sentirle le sue grida. Che sono le stesse degli operai che urlavano i nomi dei colleghi, due tre minuti dopo il crollo, quando la polvere sollevata dal cemento spezzato, ha iniziato a diradarsi. «Gli ho detto di transennare la strada. E di chiamare i soccorsi» ripete. Ma c’erano già le sirene. I curiosi, il traffico impazzito.
No, questo non è soltanto un incidente sul lavoro. Questo è una sciagura che ferisce Firenze, perché è capitata a pochi passi dal centro. Perché, dodici ore dopo quello sfracello, non si sa ancora quante siano davvero le vittime. Ed è per questo che ieri mattina in decine di fabbriche della zona gli operai hanno incrociato le braccia fino a mezzogiorno. «Hanno compreso la gravità di quel che era accaduto, hanno smesso di lavorare sono usciti in modo spontaneo» dice Bernardo Marasco, il segretario della Cgil fiorentina. Lo spiega dopo la manifestazione davanti alla Prefettura, alla quale hanno partecipato tutte le sigle sindacali. «Non si può morire di lavoro». Ma, come dice Marasco: «Non è nemmeno accettabile che nei cantieri spesso non si abbia certezza di nulla. Nemmeno di quante sono le persone». E questo è il tema della sicurezza nell’edilizia. «Sulla quale dobbiamo ragionare in modo organico. Ma dopo che i contorni di questa sciagura saranno compresi».
Già, i contorni. Ma prima c’è tantissimo altro da fare. Accendono le fotocellule i vigili del fuoco arrivati da mezza regione per continuare anche col buio a rovistare tra le macere. Adoperano fonometri per individuare rumori anche deboli-deboli che possano dare speranza di qualche vita da salvare. Usano i cani. I sistemi video a microfibre per esplorare – senza provocare altri crolli – lo spazio attraverso quello shanghai di travi, putrelle e lastre, incastrate, accartocciate e sospese. Le termocamere, quelle che riescono a leggere variazioni di calore, qui non bastano. Bisogna fare di più. Correre rischi, in questa corsa contro il tempo per salvare – se possibile – ancora una vita. «Si va avanti ad oltranza» dice Luca Cari, l’unico dei Vigili del fuoco autorizzato a parlare. E «oltranza» vuol dire che, anche adesso che è buio, ci sono pompieri che s’infilano lì sotto. Respiri affannati che arrivano via radio da sottoterra: «Da qui non si passa…».
Giù davanti alla Prefettura, invece, si dibatte ancora di sicurezza. Di sciagure sul lavoro. Il sindaco Dario Nardella, in viaggio in Terra Santa, annulla gli appuntamenti e annuncia l’immediato rientro in città. Il Comune cancella tutti gli eventi in programma per oggi e domani e dichiara il lutto cittadino. I sindacati mettono in cantiere scioperi. E intanto la Procura della Repubblica apre un fascicolo, per ora senza indagati, ipotizzando il crollo colposo e l’omicidio colposo. Ma prima di tutto bisogna chiarire perché è capitato tutto questo. E le tesi sono tante. Un difetto nelle putrelle prefabbricate? Un errore di manovra dei mezzi di cantiere? Oppure tutto è riconducibile alla fretta di concludere i lavori, e far partire gli interventi di rifinitura? Nessuno si sbilancia. «Ma la vulgata generale è che l’impresa appaltatrice abbia dato un’accelerata» dicono i sindacati. Vero? Falso? «C’era più gente in questo periodo nell’area delle costruzioni. Lo abbiamo notato anche noi. Ci sono stati mesi complicati prima, adesso stavano andando molto veloci» spiega Gionni Desiato. Ma dipende da quello? «Soltanto Dio lo sa». —