la Repubblica, 18 febbraio 2024
Porti in crisi per Suez Il traffico cala del 60% ma armatori più ricchi
GENOVA – C’è la crisi? Sì, ma non per tutti. Perché se il Mar Rosso spaventa i porti italiani e i loro concorrenti mediterranei, le compagnie armatoriali non smettono di far crescere le loro flotte, trasformando in nuove navi i maxiutili incassati in tempo di Covid, quando i noli marittimi erano alle stelle. Noli, peraltro, che dopo un anno di discesa sono tornati a crescere in conseguenza delle attacchi Houthi nel Mar Rosso. Sembra un paradosso, ma questo accade nel grande business della blue economy in cui le compagnie spostano via mare circa il 90% di tutte le merci del mondo. Addetti ai lavori e analisti confrontano tabelle e grafici completamente riscritti dopo l’escalation della tensione nel Mar Rosso. A pagare il prezzo più alto, spiega Fedespedi, l’associazione che riunisce tutte le case di spedizione italiani, rappresentanti della merce, sono proprio i porti mediterranei che hanno visto ridursi drasticamente il flusso dei container in entrata dal canale di Suez.«Il traffico è calato del 60% da metà dicembre, con alcune compagnie che hanno deciso di abbandonarlo totalmente – spiega il presidente Alessandro Pitto – L’alternativa è la rotta che doppia il Capo di Buona Speranza, circa 5mila miglia in più, con un aggravio di 11-12 giorni di viaggio anche in termini di costi, a cui si sommano anche gli aumenti per l’entrata in vigore dell’Emission Trading System-Ets che comporterà aggravi compresi tra i 25-60 euro per Teu a seconda dei servizi».Suez abbandonato per la rotta antica significa non solo allungare il viaggio e il costo del carburante, ma anche mettere a rischio gli accosti dei porti mediterranei. Numeri certificati anche dallo studio redattoda Assoporti, l’associazione che riunisce le autorità portuali italiane, e da Srm, il centro studi collegato al gruppo Intesa. «Il Mediterraneo stava mostrando una grande dinamicità in termini di trasporti marittimi di merci e passeggeri – spiega il direttore generale Srm Massimo Deandreis – Ora è evidente la preoccupazione per il fatto che le navi provenienti o dirette verso Middle East e Far East possano pensare di non transitare da qui». Inevitabile in uno scenario globale come questol’immediato rimbalzo dei noli, che a fine dicembre 2023 erano scesi fino ad arrivare sotto i 2mila dollari sulla rotta Shanghai-Genova, e che a inizio gennaio erano già risaliti a più di 4mila e una settimana dopo a più di 5mila. Uno shock internazionale, acuito anche dalle progressive limitazioni all’altro grande canale, quello di Panama, costretto a ridurre i transiti per la siccità, che comunque non frena il trend di crescita del settore marittimo. Nonostante l’instabilità politica induca alla cautela, tutti gli indicatori del commercio marittimo sono positivi, con incrementi previsti nel 2024 e nel 2025.Gli ordinativi di nuove navi, in particolare, superano abbondantemente le mille unità, pagate con i maxiutili incassati dalle compagnie in tempo di Covid. Msc, prima compagnia al mondo nel trasporto dei container, ha in ordinazione ai cantieri 140 navi, 40 delle quali consegnate entro fine anno. A spingere in questa direzione è soprattutto la necessità di proseguire sul percorso della decarbonizzazione dell’industria navale. Quasi la metà delle navi ordinate nel 2023 è a combustibile alternativo (addirittura l’83% delle portacontainer e il 79% delle car-carrier) e il trend proseguirà anche nei prossimi anni. «Sono in Cina proprio per verificare le scelte di Cosco e adeguarci sugli investimenti da fare sulla parte energetica – spiega Augusto Cosulich, ad del gruppo Fratelli Cosulich e da più di 30 anni agente della compagnia di stato cinese Cosco – Fra 5-10 anni la flotta mondiale sarà diversa da quella di oggi e quindi chi opera nel settore della transizione energetica deve investire pesantemente ora. E noi lo faremo. La crisi del Mar Rosso finirà e tutto riprenderà alla grande».