la Repubblica, 17 febbraio 2024
Un Real quasi irreale
Se Mbappé andrà al Real Madrid, e ci andrà, buona parte della colpa, o del merito, sarà di Luis Enrique, che vestì la camiseta blanca agli inizi della carriera ma poi diventò, da giocatore e da allenatore, una bandiera del Barça: è lui che ha levato di dosso a Kylian il fastidio di giocare centravanti, è lui che ha tolto al corpo tecnico del Real, a partire da Ancelotti, i residui dubbi sull’opportunità di investire soldi e futuro su un fenomeno che però avrebbe rischiato di andare in conflitto tattico con Vinicius (che Carletto ha definito più volte il migliore al mondo), con il rischio che si scatenassero gelosie e scapricciamenti. Invece il giocatore più forte del pianeta (è Mbappé, non Vinicius) andrà a giocare nella squadra quasi più forte anche perché a Parigi il suo allenatore lo ha trasformato piano piano, quasi senza che lui se ne accorgesse, in un attaccante diverso, intaccandone con dolcezza ma determinazione le inclinazioni, lui che a un certo punto della carriera aveva deciso di essere un’ala sinistra e di poter giocare soltanto lì, nella sua zona di comfort che si è disegnato e designato anche in Nazionale malgrado fosse diventato campione del mondo giocando ala destra, il ruolo delle origini. A Madrid si sono interrogati a lungo su questo aspetto, si sono chiesti se avesse senso forzare un fuoriclasse (o lui o Vinicius) a rinunciare a parte del proprio l’ego, poi l’ego è stato Luis Enrique a forzarlo a Mbappé, spostandolo dalla fascia al mezzo, con caratteristiche certo non conformi a quelle del centravanti classico ma in una posizione più centrale, quasi frontale rispetto alla porta e con più soluzioni a portata di mano. Mbappé all’inizio ha borbottato, anche perché in estate aveva obbligato il club a comprare due n. 9, Gonçalo Ramos e Kolo Muani, per non doverlo essere lui, ma poi si è calato man mano nella parte, finendo per trovarsi a suo agio senza quasi farci a caso. E non è un caso che quest’anno, per la prima volta, stia viaggiando a una media superiore a un gol a partita (31 in 30): ultimamente non sbuffa più.
Immaginate quali sconquassi potrà provocare a Madrid la dote di gol che porterà Mbappé, che avrà a sinistra un formidabile uomo assist come Vinicius, a destra un fuoriclasse umile e disponibile al sacrificio come Rodrygo e alle spalle un fenomeno indefinibile e senza recinti come Bellingham. Ciò che maggiormente impressiona è che il più vecchio di questi quattro è proprio Mbappé, 25 anni, mentre i due brasiliani ne hanno 23 e l’inglese 20: più che un reparto è un diamante, perché è per sempre. L’età dei protagonisti è la prima differenza conil Real dei Galacticos, quello che all’inizio del millennio Florentino rimpinzò di fuoriclasse senza però stare a guardare né la data di nascita né la compatibilità, cosicché dal 2004 al 2006 il Real non vinse nulla nonostante annoverasse Zidane, Ronaldo il Fenomeno, Raul, Figo, Beckham, Roberto Carlos. L’altra è che all’epoca se ne fregava degli allenatori (ne cambiò 5 in 3 anni), considerati più o meno un male necessario, mentre adesso il funzionamento di questa macchina preziosa e delicata è dato in affidamento a uno dei pochi in grado di non mandarla fuori giri, Ancelotti: nessuno meglio di lui sa fondere le caratteristiche peculiari di attaccanti diversi (si pensi al Milan di Kakà) e l’arrivo di Mbappé sembra semplicemente l’upgrade di un reparto anomalo ma stordente, senza un attaccante puro ma in cui, a turno, Vinicius, Rodrygo o Bellingham lo diventano. Mbappé non avrà più la remora mentale di partire dal centro, quindi sarà il perno di un tourbillon di livello tecnico fantasmagorico, sostenuto dal dinamismo e dalla freschezza di centrocampisti che sanno far tutto (Valverde, Tchouaméni, Camavinga, pure loro verdi di età) e da una difesa con il pelo sullo stomaco e, quella sì, piena d’esperienza. Kroos e Modric sono in scadenza di contratto: non hanno ancora discusso di rinnovo, ma magari a Madrid non vogliono perdersi il gusto di vedere il croato ricamare lanci millimetrici per i quattro là davanti, anche solo una partita ogni tanto, o il tedesco dare geometrie razionali a quel caos creativo. Di sicuro, solo il City ha in ogni ruolo uno dei tre/quattro più forti al mondo: il sospetto è che il futuro di tutte le coppe viaggerà in loop tra Manchester e Madrid.