la Repubblica, 17 febbraio 2024
Intevista a Gianandrea Noseda
NEW YORK – «La bellezza ci salverà». Il maestro Gianandrea Noseda, direttore della National Symphony Orchestra di Washington e l’Opera di Zurigo, prende in prestito Dostoevsky per affrontare i guai del nostro tempo, attraverso la musica che è strumento per resistere alle tensioni e superarle con la capacità di ascolto.
Avete appena riempito la Carnegie Hall di New York e sta partendo per il primo tour internazionale con la Nso, che il 26 febbraio vi porterà anche alla Scala di Milano. Perché ora?
«Bisognamostrare almondo cosa sai fare, unire tanti talenti per un obiettivo superiore.In un tempo così pieno di tensioni, vuoi vedere chi lavora insieme per certi ideali. Nei momenti difficili della Storia c’è sempre un ritorno all’arte. Penso che la musica sia rilevante anche come veicolo di pacificazione culturale e politica».
Torna nella sua Milano, alla Scala.
«È importantissimo. Non solo suonare su quel palcoscenico ma essere invitati nella Stagione della Filarmonica. Ospitano una sola orchestra all’anno e dal loro invito è nato l’intero tour in nove città di Spagna, Germania e Italia».
Nel programma c’è l’Eroica, sinfonia che Beethoven dedicò a Napoleone quando incarnava i valori della Rivoluzione francese, ma stracciò quando si proclamò imperatore. Parla al nostro tempo?
«È esattamente nel mezzo: 1803, tra la Rivoluzione e il Congresso di Vienna.
Tutti gli ideali che vennero poi negati con la Restaurazione. Il sogno di una società aperta, multiculturale, rispettosa, empatica, che invece torna a chiudersi. È incredibile come la Storia possa ripetersi. Perciò è fondamentale eseguire Beethoven, Verdi, Shostakovich, Schubert, avere una dimensione di più ampio respiro. I compositori hanno la sensibilità di leggere elementi che sembrano normali e invece sono destabilizzanti. L’ Eroica è un grande manifesto di libertà, rispetto nei confronti di se stessi. Se lo hai, rispetti anche gli altri. Se conosci le tue origini, sei aperto a culture diverse; se le dimentichi, ti chiudi perché non sai più chi sei.
Metti la maschera. Anche questa è l’importanza della musica».
Il pubblico lo capisce?
«Secondo me sì. Nei periodi di transizione c’è un’attenzione più specifica, quasi necessaria verso l’arte. Quando sei nella comfort zone pensi che tutto vada bene e diventa un’appendice. Invece nei momenti difficili scopri che nell’arte ci sono le sorgenti dove cercare possibili soluzioni. Nel programma del tour c’è anche laLyric Suitedi Alban Berg, tra la fine della Prima guerra mondiale e la salita al potere dei nazisti. La Repubblica di Weimar sembrava una via d’uscita, invece andava verso la deriva. C’è Shostakovich, Quinta sinfonia,momento di passaggio. Era stato bandito dopo Lady Macbeth e tentava di riabilitarsi davanti al diktat del Soviet, cercando però di restare sestesso. Mostrare un viso diverso, senza negare ciò che sei come artista».
Shostakovich, che lei eseguirà alla Scala, descriveva in privato la Quinta quasi come un affronto a Stalin.
«È sempre stato così per gli artisti.
Quando lavori ma devi salvare la tua vita, perché qualcuno molto forte ti dice cosa devi fare, cerchi di apparire accondiscendente, però non puoi negare chi sei. Quindi i suoi elementi di sarcasmo, ironia, esagerata gioia, che alla fine diventa un’ebrezza euforica fuori controllo, possono essere letti in modi diversi. Lo stesso Beethoven rifiutava di inchinarsi davanti all’imperatore, perché era un uomocome lui. Verdi ha lottato tutta la vita contro la censura».
La musica così diventa un atto di ribellione.
«Di resistenza. Il pubblico lo capisce e riconosce l’onestà del messaggio. Se c’è un senso di onestà, integrità e verità, segue».
Ha lavorato molto al Mariinsky, cosa prova per la Russia oggi?
«Bisogna distinguere le due cose.
Così come sono estremamente contrario alla guerra e l’occupazione dell’Ucraina, sono anche convinto che bandire Dostoevsky, Tolstoj, Pushkin, Prokofiev, Shostakovich, Stravinsky, non sia il giusto metodo per la resistenza. Anzi, mi viene il dubbio che se certa gente a capo di certi Stati conoscesse meglio Boris Godunov di Mussorgsky, qualche errore in meno lo farebbe, perché è già tutto scritto».
A chi si riferisce?
«Al presidente. Posso anche dire il nome: Putin. Se conoscesse meglio il significato delBoris Godunov, e perché Mussorgsky racconta questa storia con estrema crudezza, forse capirebbe che non è così che si conducono gli Stati. Spesso la conoscenza è il miglior antidoto per non ripetere gli errori, per tutti».
Come vive queste tensioni a Washington, nel Kennedy Center?
«Con la musica ho scoperto di avere il potere di portare la gente insieme ad ascoltare. La musica è democratica perché invita tutti, e molto fragile perché si mette nelle mani e le orecchie di tutti. Non devo usarla per dire quello che voglio io, ma farle esprimere ciò che vuole lei, con le mie capacità di leggerla».
Di cosa avrebbe bisogno l’Italia sul piano artistico?
«Tornare a insegnare alle nuove generazioni la curiosità per l’arte, la lettura di un libro, l’ascolto di una sinfonia. Mi ci metto dentro anch’io.
Deve iniziare dai genitori, nelle famiglie».
Cosa si augura per il suo futuro artistico?
«Mi aspetto di vedere una società che proprio perché viene a sentire la musica senza barriera, possa anche senza barriere parlarsi. Se ascolti, puoi anche parlare. E comprendere le ragioni dell’altro, che non è un nemico».