la Repubblica, 17 febbraio 2024
L’ecatombe infinita dei nuovi schiavi mentre il Palazzo nega l’omicidio sul lavoro
Sirene, ambulanze, vigili del fuoco. Traffico paralizzato. Cos’è successo? Un crollo, nel cantiere, poco fa. Due morti, anzi tre, forse di più. Questa strada l’ho percorsa, nella vita, migliaia di volte. Ogni mattina, per andare a scuola, in motorino o in bicicletta. Questa strada l’ho vista cambiare, da quando su tutto svettava il vecchio tozzo parallelepipedo del panificio militare, poi il degrado, poi le ruspe, poi il nuovo cantiere da cui sboccerà come un fiore l’ennesimo centro commerciale. Appena sarà inaugurato, miriadi di carrelli si riempiranno di barattoli e surgelati, dopodiché arriverà Natale e sarà un tripudio di luminarie e di alberellisfavillanti. A quel punto, se tutto va secondo il consueto copione, nessuno si ricorderà più degli operai morti ieri mattina, sommersi dalle macerie di un intero solaio venuto giù come cartapesta fra le urla dei testimoni. E il trallallà deijingle coprirà come una marea il requiem di queste ore, le frasi sul sentito cordoglio e il piagnucolante miserere che fa da immancabile soundtrack a queste mattanze del cemento armato (sì, armato in tutti i sensi, e come tale dotato di un’autoconferita licenza di uccidere).
Si racconta che la cupola del Brunelleschi costò la vita a un solo operaio, nel ventennio della sua ardita costruzione. Eppure di quell’operaio nessuno smania ovviamente per conoscere il nome, dal momento che la possanza dell’architettura ben ammette il sacrificio di un’anonima vita umana. Così sarà per il nuovo punto vendita in rapida edificazione, a tutti gli effetti un tempio del terzo millennio in cui celebrare il rito laico di questa ecclesia, che si aduna appena suona la campana dello sconto e fraternizza devota fra gli scaffali e le casse. Sono le vittime necessarie all’abbagliante fulgore dell’esito finale. Non narra forse Erodoto dei famosi centomila schiavi che costruirono le piramidi, intitolate nei millenni al lustro di Cheope, Chefren e Micerino?
Anche in questa occasione, per partorire le urbane piramidi dell’outlet, la manodopera affolla il cantiere in un brulicare continuo e operoso, nel via vai delle betoniere e dei caterpillar, con l’apparente rassicurazione che non si tratta più degli schiavi di Erodoto, bensì di operai salariati e protetti da ogni rischio. Ma ècosì, davvero?
Ancora non si è depositata la polvere delle macerie, e già emergono le prime voci su quel cantiere in cui si lavorava per appalto, e per di più schierando lavoratori con contratti metalmeccanici, guarda caso più convenienti e agili di quelli edili. Viene allora spontaneo chiedersi se sia così marcata la differenza fra lo schiavo etiope travolto a Giza da un macigno per la gloria dei faraoni e l’operaio che nel 2024 muore schiacciato da un blocco di cemento a Firenze, la stessa città in cui Vasco Pratolini ambientava il suo Metello, epopea di muratori a cui tocca in sorte un tragico incidente fra i ponteggi. Sono passati settant’anni dalla pubblicazione di quel romanzo, ma eccoci qua a commentare ancora l’ecatombe di chi muore e precipita nell’oblio, perché a nessuno frega nulla delle vittime sacrificali di questo gigantesco gioco di mattoncini Lego dove conta solo costruire e farlo in fretta, per tagliare il nastro e brindare con lo spumante offerto dallo sponsor.
E allora sai che c’è? Ti passa anche la voglia di scrivere un pezzo come questo. Da anni denunciamo, da anni ci indigniamo e da anni invochiamo almeno quel reato di omicidio sul lavoro che contribuisca ad elevare il rischio di tradurre un turno di lavoro in un giro di roulette russa. Ma il cosiddetto Palazzo è sordo, e sembra ogni volta che pretendere sicurezza per chi lavora equivalga a sabotare il progresso e l’irresistibile marcia in avanti dell’imprenditoria, cosicché hai l’impressione di rimbalzare contro un muro di gomma.
Intanto crollano pilastri, esplodono cisterne, si ribaltano muletti, e di mese in mese la narcosi tenta di coprire la carneficina, riuscendovi perfettamente salvo quando a Brandizzo o adesso a Firenze il numero delle vittime salta ahimè in prima pagina e tocca mettersi la maschera cineraria della grama circostanza, regalando un po’ di occhi lucidi a favore di telecamera. Altrimenti regnerebbe il silenzio e avanti un altro, aumentando il conteggio delle lapidi e il fatturato delle corone funebri, in una specie di sabba stregonesco in cui ormai i lavoratori di Pellizza da Volpedo sembrano incedere verso una colossale fossa comune, pronta a inghiottirli.