Corriere della Sera, 18 febbraio 2024
Pozzolo, c’è un terzo Dna sulla pistola che sparò: è del figlio del caposcorta
Torino «C’ero anch’io in quella stanza, dopo lo sparo ho preso la pistola e l’ho consegnata nelle mani di papà». Siamo nella prima decade di gennaio e seduto di fronte ai magistrati c’è Maverick Morello: è il figlio 25enne di Pablito, caposcorta del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. È la prima volta che il giovane, che vuole seguire le orme professionali del padre, racconta della festa di Capodanno a Rosazza, quando un colpo è esploso dalla pistola del deputato di FdI Emanuele Pozzolo ferendo Luca Campana alla coscia. Il ragazzo – cognato della vittima – spiega: «Quando è partito il colpo non stavo guardando in quella direzione. Subito prima, ho sentito pronunciare la frase: “Ma allora la pistola è vera?”». E ancora: «Dopo lo sparo Pozzolo era seduto, immobile». È a quel punto che Maverick avrebbe preso l’arma, appoggiata sul tavolo, e consegnata al padre perché la mettesse in sicurezza su una mensola.
Ecco spiegato perché sul piccolo revolver gli uomini del Ris hanno trovato tre diversi profili genetici: quelli del deputato di FdI, del caposcorta e del figlio più giovane di quest’ultimo. I verbali dei protagonisti sembrano chiudere il cerchio, tanto che la procuratrice di Biella Angela Teresa Camelio non intende – salvo specifiche istanze delle difese – disporre un ulteriore esame comparativo delle tracce biologiche.
«Era immobile»
Il giovane avrebbe aggiunto: «Dopo lo sparo il deputato era seduto, immobile»
La narrazione del giovane, ascoltato dopo le due audizioni del padre, segue in maniera logica quanto dichiarato dal genitore. Pablito Morello, che fin da subito ha ammesso di aver toccato la pistola per riporla sulla mensola, nella seconda deposizione aggiunge elementi che rafforzerebbero la tesi dei pm secondo cui a sparare accidentalmente sarebbe stato Pozzolo (unico indagato). «Ho appoggiato la mano sulla pistola per togliergliela (al deputato, ndr). In quel momento è partito il colpo e ho sentito un forte calore», rivela Morello. Che scandisce così gli attimi cruciali di quella notte, iniziando dal punto in cui il deputato estrae l’arma: «Si limitava a mostrarla» – ruotando la mano —, «poi ho sentito mio cognato (Luca Campana, ndr) dire: ma è una pistola vera o finta?». Tutti sono incuriositi da quel minuscolo revolver. «Pozzolo non rispondeva, sorrideva – insiste il caposcorta —, ma continuava a maneggiare quella cosa». Intorno al tavolo, secondo il poliziotto, ci sono quattro persone. «Ma quando gli ho detto di metterla via – conclude il testimone –, ho appoggiato la mano sulla pistola: ho sentito un forte calore alla mano sinistra. Ho capito lì che era partito un colpo». A mancare a questo punto sono solo le risposte di Pozzolo, che di fronte ai magistrati si è avvalso della facoltà di non rispondere. La sua versione, quindi, resta cristallizzata a quanto dichiarato ai carabinieri a Capodanno: «Non sono stato io».