Corriere della Sera, 18 febbraio 2024
L’amore tra Yulia e Alexei
Prima media, avvelenano tuo padre. Sta settimane in coma. Si sveglia e lo vai a trovare all’ospedale Charité, a Berlino, dove tua madre in versione Wonderwoman ha lottato perché potesse arrivare: dietro la mascherina sorridete perché la cifra di famiglia, e certo il suo e vostro messaggio politico, è sorridere e perfino scherzare nelle difficoltà. E molto del carisma di lui, scrive Masha Gessen sul New Yorker, si deve all’amore che lo lega a tua madre, Yulia Navalnaya, e alla vostra aria unita e felice. Seconda media, papà e mamma rientrano in Russia. Lei twitta: «Partiamo verso Mosca, garçon, una vodka». Lui lo arrestano già all’aeroporto. Terza media, è il 2022: tuo padre passa da una prigione all’altra. Non sempre vi avvertono. Comunica affidando messaggi ai suoi avvocati, e spesso scherza: a Capodanno 2023, in isolamento, scrive «mi hanno rovinato la festa. Avevo un sacchetto di patatine». Non potete visitarlo mai. Compi quindici anni senza averlo più incontrato, se non sullo schermo: un documentario dedicato a lui ha vinto l’Oscar. Il 2023 è l’anno dei premi ai dissidenti e dei figli che li ritirano per loro, voi l’Oscar, i figli dell’iraniana Narges Mohammadi il Nobel per la Pace. Hanno un anno più di te e i vostri sorrisi ammaccati si somigliano.
Non ha ancora sedici anni Zahar detto «Zozo», il più piccolo e meno esposto dei Navalny, e suo padre è già un martire.
Prima di tornare da lui e dalla sorella Daria la madre Yulia ha parlato dal palco della conferenza di Monaco: sono restata, dice, perché Aleksei avrebbe fatto così. I dissidenti hanno famiglie allargate di avvocati e collaboratori – a fianco dei Navalny la giornalista Maria Pevkich, l’avvocata Kira Yarmysch, il braccio destro Leonid Volkov – ma le famiglie di sangue pagano il tributo più alto: i Navalny si riuniranno in queste ore ma senza una salma attorno a cui stringersi. E senza una vera casa. Lasciato il trilocale che affittavano nel sobborgo moscovita di Mar’ino: Daria, la primogenita, ha 23 anni e studia psicologia sociale e scienze politiche a Stanford con una borsa di studio, e la madre sta con lei negli Stati Uniti. Zahar va a scuola in Germania e sta in collegio.
Ammutolita in queste ore, Daria è invece da anni attiva sui social. Sul suo canale YouTube ha pubblicato inchieste come «Teenager nella Russia di Putin», in cui faceva dire ai coetanei angustie e ristrettezze certo anche sue. Già nella bio sui social si presenta come «figlia di Aleksei Navalny». Per gli analisti è una candidatura a prenderne il testimone. Certo non in tempo per le elezioni di marzo, che lei ha citato nella sua ultima intervista alla Cnn con voce rotta come «occasione in cui vorranno zittirlo».
Si è sempre sfilata da un ruolo simile la «first lady» Yulia Borisova. Classe 1976, laureata in relazioni internazionali mentre lui in legge; si erano incontrati nel 1998 in vacanza in Turchia con amici, e ad agosto 2000 erano sposati. Iscritta come lui al primo partito liberal-democratico russo, Yabloko, ha lasciato dopo le elezioni 2012 in cui Navalny era candidato a sindaco di Mosca. Dopo che Aleksei era stato avvelenato non ne lasciava il capezzale; soprattutto era sua la lettera a Putin che pretendeva – e ottenne – l’autorizzazione a espatriare il marito su un aereo-ambulanza. A lei, per mezzo degli avvocati, il recluso Aleksei ha inviato sempre messaggi di amore e devozione. L’ultimo mercoledì, per San Valentino, su Telegram: «Tesoro, tutto è come una canzone con te». Parole difficili da sentire in bocca agli altri politici russi, spesso bigami. Yulia Navalnaya, come prima di lei solo Raissa Gorbacheva, ha un modo unico di sottrarsi alla retorica della «donna dietro il grande uomo» pur senza mai scendere in campo a sua volta.
Ma a cercare la salma di Aleksei Navalny all’obitorio, ieri, non c’erano lei né i figli. Ha sfidato il gelo polare Lyudmila Navalnaya, madre del dissidente che lui spesso ha indicato come matrice del suo odio per i regimi. Ricordo d’infanzia: casa dei nonni, vicino a Chernobyl, i russi costringevano gli abitanti a raccogliere le patate nei campi, per persuaderli che non fossero contaminate. Le bugie dei regimi si somigliano tutte, e lì Lyudmila gli insegnò a detestarle. Il suo post Facebook finale dedicato al figlio: «L’ho visto il 12 febbraio ed era vivo, sano e allegro. Non voglio sentire condoglianze». Il tratto di famiglia, mai volti tristi nelle difficoltà.