Corriere della Sera, 18 febbraio 2024
Avdiivka, caduta nelle mani dei russi: «È stato un massacro»
Fronte di Avdiivka Dopo dieci anni di battaglie, i russi catturano Avdiivka. Gli ucraini ammettono la sconfitta ieri all’una di notte. «Ho deciso di ritirare le nostre unità dalla città e muoverle su una linea di difesa più favorevole per evitare l’accerchiamento e preservare le vite dei soldati», dichiara il comandante in capo delle forze armate, Oleksandr Syrsky. Poco prima il presidente Zelensky in persona aveva detto: «Occorre salvare le truppe».
Che la cittadina sia caduta non ha sorpreso nessuno. Era nell’aria da almeno una settimana. E sulla gravità dell’evento per il sistema difensivo ucraino nel Donbass restano ben pochi dubbi. Viene naturale tracciare un parallelo tra la caduta di Avdiivka e quella di Bakhmut nel maggio 2023, dopo 11 mesi di furiosi combattimenti. Oggi come allora, l’area era assurta a simbolo del braccio di ferro nell’est del Paese e i comandi di Kiev insistevano sui successi delle loro truppe.
Eppure, le similitudini finiscono qui: le specificità della sconfitta di Avdiivka aiutano invece a comprendere la serietà del momento e le novità della situazione alla fine del secondo anno di guerra. Qui nel 2014 i comandanti dell’allora neonato esercito ucraino avevano deciso di costruire bunker e fortini in risposta all’invasione voluta da Putin della Crimea e alla sua mossa di mandare uomini e armi a sostenere le milizie separatiste nel Donbass. Gli ucraini l’avevano persa per poche settimane e, dopo averla liberata, ne avevano fatto il perno del sistema difensivo dell’intera regione, 15 chilometri dalla città occupata di Donetsk e snodo per garantire il Lugansk meridionale.
Subito dopo l’invasione del 24 febbraio 2022, i russi avevano riprovato a prenderla, ma si erano impantanati a poche centinaia di metri dalle trincee di partenza. L’allora comandante in capo ucraino, Valery Zaluzhny, vi aveva concentrato i battaglioni scelti: i russi hanno avanzato più a nord verso Kharkiv, a sud hanno preso Mariupol, però a Donetsk il fronte è rimasto praticamente fermo per quasi due lunghi anni di guerra. I bombardamenti hanno tuttavia raso al suolo gli edifici, dei 32.000 abitanti originari non restano oggi che alcune centinaia di vecchi e malati: Avdiivka è ormai l’ennesimo centro urbano ridotto a un deserto di macerie e scheletri di palazzi bruciati, dove gli «zombie» (come li chiamano i soldati) sopravvivono nelle cantine senza elettricità o acqua.
Ecco allora spiegati il pessimismo e il morale sotto le scarpe anche dei veterani ucraini più anziani che abbiamo raccolto negli ultimi tre giorni di spostamenti tra Mirnograd, Pokrovsk, Selydove, tutte cittadine situate a raggiera entro circa 20 chilometri dal cuore dello scontro e sino al villaggio di Hrodivka, a una quindicina, dove i posti di blocco militari non fanno passare perché, dicono, «la linea del fronte è instabile».
Errori e munizioni
La ritirata all’inizio aveva funzionato Poi è mancata la copertura dal cielo
Con loro abbiamo condiviso alcuni sprazzi delle ore cruciali. «Ormai siamo un battaglione di morti. Chi entra nella zona urbana resta isolato, costretto a combattere a 360 gradi, veniamo sacrificati per nulla. Ci servono buoni comandanti», ci dicono il pomeriggio del 14 febbraio due ufficiali di una pattuglia dell’intelligence militare affiancata alla Terza Brigata incontrati allo Street Roll, uno dei fast food di Mirnograd.
Fanno parte del corpo di spedizione voluto da Syrsky, che pochi giorni fa aveva visitato il settore in compagnia del nuovo ministro della Difesa, Rustem Umerov, e assieme avevano deciso di inviare rinforzi: dovrebbero garantire un corridoio di ripiegamento per le unità ancora asserragliate e a rischio di rimanere tagliate fuori. Ma loro dicono che regna il caos. «Voi europei ci penalizzate con la vostra burocrazia che ritarda l’invio delle armi. Gli americani non ne mandano più per motivi di politica interna e i nostri comandanti commettono errori. Noi soldati intanto siamo mandati al macello».
La rabbia rimbalza sui social, ne parlano i media ucraini. I soldati criticano apertamente Zelensky per avere licenziato Zaluzhny proprio in questo momento. «Syrsky da giovane ha studiato nelle accademie sovietiche, non si fa troppi problemi quando crede di dover sacrificare le vite della truppa», ci dice il giorno dopo Nikita, un trentenne del 206esimo Battaglione della Difesa territoriale. Per tutti è scontato che Putin esiga questa vittoria in vista delle elezioni russe di metà marzo. Ma le opinioni sono diverse.
Lira, una 32enne dottoressa nelle unità mediche a sua volta parte del servizio informazioni, aggiunge che però in questo caso anche Zaluzhny potrebbe fare molto poco. Il destino della città è segnato. Nel pomeriggio del 16 lo stesso comandante della piazza di Avdiivka, Oleksander Tarnavsky, ammette che è caduto il «Forte Zenith», che assicurava il fianco meridionale. I soldati ci raccontano dei tentativi di fuga disordinata. «La ritirata inizialmente aveva funzionato. Però poi è mancata la copertura dal cielo. I bombardieri russi hanno usato indisturbati missili teleguidati con testate sino a 1.500 chili di esplosivo. È stato un massacro. I russi hanno preso anche tanti prigionieri», dice Matros, un sergente della 27esima Brigata motorizzata. Tarnavskyi chiede l’intervento delle organizzazioni umanitarie internazionali per garantire i prigionieri. Umerov traccia un elenco «delle lezioni che ci ha insegnato Avdiivka», la prima è sulla bocca di tutti: senza munizioni, missili antiaerei e armi adeguate non si va da nessuna parte. In serata incontriamo due ventenni che stanno andando sulla nuova linea di difesa, dovranno starci 6 mesi. Dicono: «Speriamo abbiano scavato bene le trincee, altrimenti dovremo farlo noi sotto il fuoco».