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 2024  febbraio 17 Sabato calendario

Bossi soffre per la sua Lega

Gemonio, 14 gennaio. Bossi dice ai suoi ospiti: «Soffro a vedere la Lega ridotta così».
Attorno a lui ci sono una trentina di persone: compagni di strada della prima ora, alcuni rappresentanti locali, ex ministri ed ex parlamentari. Non è un’occasione conviviale, bisogna discutere dell’associazione politica alla quale stanno lavorano da qualche tempo, con discrezione, per evitare che si dia anche solo l’impressione di un gruppo impegnato in una qualche velleitaria operazione scissionista. Il Carroccio è la loro fede, il «ritorno alle origini» la loro aspirazione. Il presente è vissuto con angoscia. È vero, ci sono stati momenti in cui il partito è stato sul punto di sprofondare, ma senza mai perdere la propria identità.
«Adesso invece la Lega è la copia meno fortunata di Fratelli d’Italia», si inalbera Bossi. Che sarà «segnato nel corpo – racconta uno dei presenti – ma non è rimbambito come viene descritto apposta da qualcuno. È lucido nelle sue analisi. E anche se il fisico non è più quello di un tempo, s’inc...za ancora di brutto». E fa sempre sfoggio del suo linguaggio colorito, di cui si serve per parlare di Matteo Salvini e della sua linea politica: «Ha fatto diventare la Lega un partito di estrema destra, proprio mentre al governo c’è Giorgia Meloni che ha il simbolo della Fiamma. Ma tra la copia e l’originale, chi vuoi che voti la gente?».
Bossi dà voce al senso di disorientamento collettivo, che i presenti avvertono ormai distintamente anche nell’attuale gruppo dirigente. Lo percepiscono da certe telefonate carbonare con cui vengono informati della situazione a Roma e sui territori. La storia della «Lega nazionale» non ha mai convinto il Senatur. Ci aveva pensato anche lui più di vent’anni fa di sbarcare al Sud, ma aveva desistito. Perché temeva allora quanto sta avvenendo adesso: che la Lega venisse usata come un taxi, da cui scendere a fine corsa. Oggi teme ancor di più la contromossa di Salvini, che per rattoppare il «fallimento del suo progetto» innesta nella Lega personaggi che «non hanno nulla a che fare con la nostra storia»: «Ha sbagliato a scegliersi i compagni di strada in questi anni, ma non può ora affidarsi a tipi come quel generale lì... Vannacci...».
Secondo Bossi, il segretario aveva a disposizione un’altra soluzione: «C’era uno spazio politico rimasto vuoto e doveva riempirlo lui. Invece l’ha lasciato libero». Il fondatore della Lega si riferisce chiaramente all’area occupata da Forza Italia, rimasta orfana di Silvio Berlusconi: è lì che Salvini avrebbe potuto espandersi. La conseguenza della mossa «sbagliata» è che gli azzurri adesso ambiscono al sorpasso del Carroccio alle Europee.
A ottantatré anni Bossi non ha alcuna intenzione di tornare in prima linea, figurarsi, ma il modo in cui si infervora testimonia la sua «sofferenza» per le condizioni del partito e il desiderio di dare un contributo, non foss’altro per la sua esperienza. «Il fatto è che Salvini non gli risponde al telefono», spiega uno dei testimoni della riunione: «Non so da quanto tempo non lo vede. Ogni tanto viene a trovarlo Giancarlo Giorgetti. C’è stato anche il governatore della Lombardia, Attilio Fontana. Ma il segretario...».
Chissà se nel 2019 c’era ancora un rapporto tra i due. È certo che cinque anni dopo il Senatur ricorda il «grave errore» commesso dopo le Europee da Salvini. Lo fa come se lo avesse davanti: «Avevi stravinto. A Strasburgo avevi un gruppo parlamentare che era secondo forse solo al Ppe. Avevi la rappresentanza di tutto il Nord imprenditoriale. E cosa hai fatto? Hai portato la Lega all’opposizione. Ma così non conti niente. Nel 1989 accettammo di far gruppo con degli scappati di casa pur di contare qualcosa».
Più parla e più impreca pensando al «Nord»: «Avanti così non c’è una forza che faccia il sindacato del territorio, che tuteli le partite Iva». E mentre il «territorio» diventa preda di Fratelli d’Italia, a Roma «Meloni si dà da fare, studia, cerca di evitare le figuracce...». A tal proposito, dicono che – durante la conversazione – Bossi abbia citato la contestazione subita da Salvini in Polonia nel 2022, appena dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, quando nella cittadina di Przemysl gli sventolarono la maglietta con l’effige di Vladimir Putin.
Il catalogo del Senatur è questo e l’idea dell’associazione a cui sta lavorando non è solo un modo per reagire alla situazione in cui versa il Carroccio. C’è di più. Lo si capisce al momento dei saluti, quando Bossi recita una sorta di decalogo. Che finisce così: «... E niente strappi. Bisogna stare uniti attorno alla Lega per prepararsi al dopo».