Estratto dell’articolo di Domenico Quirico per “La Stampa”, 17 febbraio 2024
PER PUTIN L’UNICO DISSIDENTE BUONO È QUELLO MORTO – DOMENICO QUIRICO E IL DESTINO DEI DISSIDENTI IN RUSSIA: "DA SACHAROV E SOLZENITZIN FINO A POLITKVOSKAJA E NAVALNY, CI VUOLE CORAGGIO A ESSERE DEGLI OPPOSITORI IN UN PAESE IN CUI IL PENSIERO VIENE CONSIDERATO UN ATTO SOVVERSIVO – E L'OCCIDENTE? OSSERVA, REGALA COMPASSIONE, QUALCHE PREMIO, MA CONTINUA A STRINGERE LA MANO AL DESPOTA. CHE SERVE, CHE FA PAURA, CHE LUSINGA. E LA SOCIETÀ RUSSA? QUELLA TACE..." -
Lo Zar, la dittatura del proletariato, il putinismo: una lotta contro un dispotismo mostruoso e senza via d'uscita. Occorre davvero un disperato eroismo per fronteggiare un potere viziato, abituato a non trovare resistenza, che si sfrena in ogni atto, in ogni rapporto con i sudditi in una spudorata sfrontatezza.
Sicuro che, zarista bolscevico o putiniano, non deve render conto di nulla a nessuno e che alla fine l'individuo russo mugiko, bolscevico o postcomunista sopporterà tutto, potrà esser corretto con il gulag, l'ospedale psichiatrico, l'esilio, la galera. La morte.
Essere dissidenti in un luogo dove la libertà di parola è sempre stata considerata insolenza, il pensare autonomamente un atto sovversivo perché l'uomo deve dissolversi nella Grande Madre, nel Paese del socialismo realizzato, o come ordina l'omino dagli occhi trasparenti che si è ritagliato un trono da Zar, nella combinazione del vitello d'oro e della patria. Altrimenti… Da Herzen a Navalny l'unica compagna di questa turba eroica è stata la solitudine, il silenzio, le frustate della calunnia: traditori, venduti, rifiuti sociali...
Riuscite a vedere qualcosa di più tragico del sapere che alla fine, accasciati da una sovrumana fatica, scoprirete che la vostra testimonianza non costruirà nulla, non demolirà nulla della menzogna, non annuncerà, neppure quando il re sembra nudo, la palingenesi dell'89! una nuova rivelazione? Quante volte la Grande Svolta è stata annunciata e poi tutto si raggruma e si allarga in un aspro vuoto e una labile incoscienza. Eppure non bisogna fermarsi sulla "vecchia sponda", anche a costo di morire in un giorno qualunque in un carcere irraggiungibile per salvarsi dall'ospizio della reazione e della complicità.
Dissidenti in Russia. Persino la lingua testimonia la difficoltà a definirli, a farli uscire dal vuoto. Due termini: quello antico slavo, "chi pensa diversamente", e "dissidente", lanciato negli Anni settanta dai giornalisti occidentali quando raccontarono qualcosa di nuovo: quelli che pensavano diversamente adesso firmavano documenti, organizzavano manifestazioni a Mosca. E il potere sovietico la adottò, quella definizione: ecco, vedete questi che protestano sono venduti al capitalismo, traditori del proletariato universale.
[…] In Russia milioni di persone hanno sempre pensato diversamente. Ma in privato, sottovoce, a monosillabi. I veri dissidenti sono coloro che come si dice "sono usciti dalle cucine", e sono andati in piazza, dove si è soli in faccia al potere e ai suoi mezzi repressivi. Tra la cucina di casa e la piazza c'è la paura. La dissidenza è questo, il coraggio di scavalcare la paura, una battaglia a viso aperto per il rispetto dei diritti inalienabili della persona umana, condotta con regole rigide, il rispetto della legge, la non violenza, la trasparenza.
Da un lato lo Stato, Behemoth onnipotente e feroce, dall'altro il singolo. E in mezzo l'Occidente che osserva, regala compassione, qualche premio, ma continua a stringere la mano al despota. Che serve, che fa paura, che lusinga. E la società russa? Quella tace. Di molti sappiano i nomi, scolpiti nei libri: Sacharov; Solzenitzin; Bukovski, internato a 27 anni nell'ospedale psichiatrico; Amalrik che scandì al processo che opporre a delle idee una condanna penale è in sé un delitto; il generale Grigorenko comunista e leninista convinto, Vera Lachkova che batteva a macchina montagne di scritti vietati... «non ho fatto altro che quello che il mio cuore mi dettava. Tutto qui…».
La prigione di Lefortovo, il carcere del kgb a Mosca, da cui sono passati prima o poi tutti i dissidenti… Ma gli altri, quelli che hanno avuto coraggio ma rifiutano di essere considerati eroi? Larissa Bogoraz nel 1968 manifestò sulla piazza Rossa contro l'invasione della Cecoslovacchia (erano in sei! e oggi sono solo poco più color che ancora protestano contro un'altra invasione). Disse a un giornalista sovietico, nell'89 quando quel mondo anche per merito loro andava in frantumi e sembrava arrivata l'ora della verità: «Non descriveteci come eroi, siamo della gente comune!».
La loro lotta è ancora quella scritta su un cartello che i dissidenti del 1968 levarono sulla piazza Rossa: «Per la vostra libertà e per la nostra!». Fino a Navalny una delle più strazianti avventure umane del secolo. Con la caduta dell'Urss i dissidenti erano passati di moda. Eppure Kovalev levava la voce contro la sporca guerra in Cecenia e già governava Eltsin, "l'americano" con la sua banda criminale. Riprendevano come se nulla fosse accaduto le campagne di calunnie, lo si isolava... i vecchi metodi.
L'esistenza dei dissidenti rammentava ai nuovi padroni i compromessi e le vigliaccherie di ieri. In quello che avrebbe dovuto essere il mondo nuovo, nessuno, in fondo, ha riconosciuto loro il merito di aver lottato per una Russia degna di sé. Entravano nella cronaca dei processi, e dei delitti senza colpevoli, nomi nuovi, la Politkovskaja, Navalny, Rachinsky: perché il nazional capitalismo con i suoi petrodollari, i night da 10 mila dollari a sera, aveva ricostruito l'ossessione del controllo, la convinzione che chi non obbedisce ciecamente è un nemico.
Loro erano ancora lì, prima timidi e poi veementi, perché tutto fluisce di nuovo, la prepotenza, la guerra, i divieti, legato da un filo invisibile ma terribilmente vivo. Il Potere e la società: la distinzione che attraversa tutta la storia russa. E allora bisogna costringere il Potere a svelarsi. A ogni costo.