Corriere della Sera, 16 febbraio 2024
Il concordato nato dal divorzio
Dopodomani, domenica 18 febbraio, ricorre il quarantesimo anniversario dell’accordo di Villa Madama, con cui il presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi e il segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli sancirono la revisione del concordato lateranense, siglato l’11 febbraio 1929 da Benito Mussolini e dal cardinale Pietro Gasparri. «Ma per capire come si arrivò a quel passo – avverte il giurista Francesco Margiotta Broglio, protagonista delle trattative preliminari di allora – bisogna risalire a un altro anniversario tondo, quello del referendum sul divorzio che si tenne mezzo secolo fa, nel maggio 1974».
Che legame c’è tra le due date?
«La larga e inaspettata vittoria del No al referendum, con il fallimento del tentativo di abrogare la legge sul divorzio del 1970, dimostrò che l’Italia era m0lto cambiata rispetto all’immediato dopoguerra e che l’influenza della Chiesa cattolica nella società era nettamente diminuita. I tempi quindi erano ormai maturi per rivedere il concordato del 1929, inserito nell’ordinamento repubblicano con l’articolo 7 della Costituzione. Lo compresero e lo dissero apertamente anche politici democristiani più sensibili come Aldo Moro e Amintore Fanfani».
Fu allora che lei avanzò la proposta di un concordato-quadro. Vuole parlarcene?
«Pochi mesi dopo il referendum l’allora direttore del “Corriere della Sera” Piero Ottone, tramite Gaspare Barbiellini Amidei, mi chiese d’intervenire sui rapporti tra Stato e Chiesa. L’articolo uscì sul quotidiano il 5 novembre 1974. Teorizzai allora – credo di essere stato il primo – che fosse opportuno, piuttosto che riformulare per filo e per segno il concordato del 1929 in ogni suo aspetto, stipulare un accordo più agile, con poche e chiare norme di principio, che rimandasse poi a successive intese di attuazione destinate a entrare nel dettaglio delle questioni».
Lei anticipò l’esito a cui si sarebbe giunti. Avviò il negoziato, nel 1976, un governo guidato da Giulio Andreotti.
«Sì, ma il percorso per arrivare alla revisione fu piuttosto lungo. Le trattative si trascinarono per diversi anni, con la predisposizione di varie bozze. Influì in negativo, nel 1981, anche lo scandalo Ior-Ambrosiano. Nel 1982 l’allora presidente del Consiglio Giovanni Spadolini mi chiamò a far parte di un’apposita commissione presieduta da Vincenzo Caianiello, che dirigeva l’ufficio legislativo di Palazzo Chigi. Elaborammo una relazione sulla base della quale pensavamo di concludere».
Perché il progetto non andò in porto?
«Il governo cadde nel novembre 1982 e a Spadolini subentrò Fanfani, che a sua volta cercò di preparare una bozza di accordo. Mancava il tempo però, perché la legislatura terminò anticipatamente e si arrivò alle elezioni del giugno 1983».
Quindi a Palazzo Chigi s’insediò Craxi. Non è curioso che a siglare il nuovo concordato sia stato un esponente del Psi, partito dalla lunga tradizione anticlericale?
«In effetti all’Assemblea Costituente i socialisti, a differenza dei comunisti, avevano votato contro l’inserimento dei Patti lateranensi nell’articolo 7. Ma Craxi aveva avviato un ripensamento con un importante articolo sull’“Avanti!”, quotidiano del suo partito, già prima di diventare capo del governo. Anzi devo dire che segnali in quel senso erano giunti anche in precedenza. Ricordo che tenni una relazione a Parma sulla politica del Psi in campo ecclesiastico, nel corso di un convegno a cui partecipò anche Pietro Nenni. E il leader storico del socialismo italiano mi fece avere un biglietto nel quale mi ringraziava, aggiungendo: “Forse alla Costituente abbiamo sbagliato”».
Craxi superò la tradizione anticlericale
del Psi, ma a un certo punto si chiese
se Garibaldi ci avrebbe perdonato
per la sigla dell’accordo con la Santa Sede
Quando ricominciò il vostro lavoro?
«Non appena Craxi s’insediò a Palazzo Chigi, m’incaricò di riprendere in mano la riforma del concordato e mandò una nota informativa al Parlamento. Nel dicembre 1983 il capo del governo andò in visita in Vaticano e nel gennaio 1984 incontrò Casaroli per appianare gli ultimi ostacoli. A febbraio l’accordo era pronto. Certo, Craxi dovette superare alcune riserve di fondo che facevano parte della sua formazione culturale».
A che cosa si riferisce?
«Il leader socialista era molto legato alla figura di Giuseppe Garibaldi, ne teneva un ritratto alle spalle della sua scrivania. E l’eroe dei due mondi era notoriamente un accanito anticlericale. Quando io e Giuliano Amato, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio, gli portammo la versione definitiva nel nuovo concordato, Craxi si voltò verso il quadro di Garibaldi e disse rivolto a noi: “Ci perdonerà?”».
Quarant’anni dopo, lei ritiene che l’accordo di Villa Madama abbia funzionato?
«Direi senz’altro di sì. E comunque la scelta del concordato quadro consente la necessaria flessibilità nel caso ci fossero materie da aggiornare. Penso per esempio che sia possibile andare verso una revisione della parte sull’insegnamento della religione cattolica a scuola, visto l’aumento impressionante degli studenti che non intendono avvalersene. Sarebbe utile prevedere l’inserimento nei programmi scolastici di aspetti di cultura religiosa legati alle diverse discipline: storia, letteratura, storia dell’arte».
Parecchie riserve sono state avanzate sul finanziamento della Chiesa attraverso il meccanismo dell’8 per mille, che prevede la suddivisione di tutti i fondi in proporzione alle scelte espresse dai cittadini che decidono di destinare tale quota della loro Irpef allo Stato o a una delle confessioni che usufruiscono di quell’istituto.
«In realtà l’8 per mille, pensato per i cattolici, si è rivelato utile proprio per alimentare il pluralismo religioso in Italia. Attraverso le intese è stato esteso anche ad altre fedi – valdesi, battisti, ebrei, buddhisti, induisti – che hanno così ottenuto uno strumento per finanziare in modo stabile le loro attività. Anche gli atei dell’Uaar hanno chiesto di usufruirne: il governo ha respinto la domanda, ma ora si dovrà pronunciare la Corte europea dei diritti dell’uomo. E nella legislazione europea l’ateismo viene generalmente parificato alle credenze religiose».
Tempo fa la Santa Sede ha manifestato il timore che la proposta di legge Zan contro l’omofobia potesse violare il concordato là dove l’accordo garantisce ai cattolici piena libertà di manifestazione del pensiero. Che ne pensa?
«Mi è parso un allarme ingiustificato. Non credo proprio che norme contro l’omofobia possano compromettere la libertà di opinione. Del resto Zan ha ripresentato il suo progetto, ma gli attuali rapporti di forza in Parlamento ne rendono del tutto improbabile l’approvazione».