Avvenire, 16 febbraio 2024
Il Verdi segreto nel carteggio che svela Aida
«Tra il sottoscritto Auguste Mariette Bey, che agisce in nome di Sua Altezza Ismail Pasha Kedivé d’Egitto, e il Maestro Giuseppe Verdi, compositore di musica, si conviene quanto segue…». Siamo a Parigi, il 29 luglio 1870, ed è giunto il momento di firmare il contratto. Il debutto avverrà nel nuovo teatro di Il Cairo, appena inaugurato. Da pochi mesi è stato aperto il Canale di Suez, destinato a cambiare la storia economica e culturale del Mediterraneo, e un nuovo melodramma, ambientato al tempo dei faraoni e scritto da un compositore affermatissimo, servirà a ribadire la grandezza dell’Egitto antico e il desiderio di quello moderno di ottenere m aggiore indipendenza dalle potenze europee, Gran Bretagna e Francia. Quella formidabile impresa artistica e produttiva internazionale e insieme affare di Stato che fu la nascita di Aida sembra ormai in dirittura d’arrivo. Il compenso strappato da Verdi è senza precedenti: 150.000 franchi (quasi un milione di euro), pagabili presso la Banca Rothschild di Parigi. Ma l’Europa è in guerra: è iniziato il conflitto tra Francia e Prussia, nella reggia di Versailles Guglielmo I verrà incoronato imperatore tedesco. Aida dovrà aspettare, ma non troppo: il debutto slitta al 24 dicembre 1871. L’insieme di queste notizie rende incalzante la lettura del carteggio tra Verdi e il librettista dell’opera, Antonio Ghislanzoni. Curato da Ilaria Bonomi, Edoardo Buroni, Marco Spada viene ora pubblicato in due tomi dall’Istituto Nazionale Studi Verdiani nell’ambito dell’Edizione Nazionale dei carteggi e dei documenti verdiani (pp. CLXXXVIII + 562, Euro 70). Accanto ai due principali protagonisti, si affollano gli altri attori: l’egittologo Auguste Mariette, che scrive, in francese, il “programma” dell’opera e lo invia al drammaturgo e impresario Camille Du Locle, che a sua volta lo inoltra a Verdi. Il medico Paul Draneht, di famiglia greco- ottomana riparata in Egitto per sfuggire alle persecuzioni turche contro i greci, al quale il vicere Ismail Pasha affida la promozione delle relazioni culturali tra Egitto ed Europa; Filippo Filippi, massimo critico musicale italiano dell’Ottocento. A differenza di Verdi e dell’editore Tito Ricordi che a Il Cairo non vanno (Verdi temeva i viaggi in mare), Filippi sarà presente e racconterà l’esito della prima in corrispondenze dettagliate: andò bene, nonostante le grandi difficoltà sceno-tecniche. Emerge il ruolo di Giuseppina Strepponi, moglie di Verdi, che traduce il programma dal francese all’italiano e interviene su numerosi punti del libretto, anche grazie al rapporto di confidenza e amicizia che ha instaurato con Ghislanzoni. I due volumi dunque non si configurano soltanto come un “carteggio”: sono un racconto a più voci e rappresentano un esempio di accurata ricerca filologica e storica, e di una tenacia durata decenni che ha consentito ai curatori di vincere tutti gli ostacoli, rappresentati anche dalla contrarietà degli eredi Carrara-Verdi a rendere disponibili gli appunti custoditi nella Villa di Sant’Agata, che ha recentemente rischiato di finire all’asta e nei confronti della quale, come informa un comunicato del Ministero della Cultura, «la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Parma e Piacenza ha avviato il procedimento di dichiarazione di pubblica utilità, finalizzata all’esproprio». L’ostinazione degli eredi era stata infranta soltanto nel 2018 grazie all’intervento dei Carabinieri che recuperarono il famoso “baule” colmo di appunti di Verdi custodito nella Villa trasferendolo all’Archivio di Stato di Parma, dove grazie alla collaborazione di funzionari e studiosi responsabili, e a un dettagliato saggio di Alessandra Carlotta Pellegrini scritto per la rivista “Studi verdiani”, è stato finalmente possibile conoscerne il contenuto.
È nella corrispondenza con Ghislanzoni che Verdi esprime una delle sue fondamentali dichiarazioni di poetica: «Io, quando l’azione lo domanda abbandonerei subito ritmo, rima, strofa, farei dei versi sciolti per poter dire chiaro e netto tutto quello che l’azione esige… Per il teatro è necessario qualche volta che Poeti e Compositori abbiano il talento di non fare né poesia né musica». Ma, appunto, “azione”, anche contro quelle regole formali che il musicista da tempo avverte come irrigidite e troppo vincolanti. Librettista e musicista cercano di rispettare la verità storica: «Con mio rincrescimento, trovo in Erodoto che fra gli Egizi il sacerdozio era riservato soltanto agli uomini». Dunque, inserire o meno le sacerdotesse? Mariette scioglierà il dubbio: sì alle sacerdotesse di Iside e di Vulcano, che però non era una divinità venerata dagli Egizi. Il rispetto dunque è quanto meno disinvolto, ma a Verdi non interessava ricreare il vero, piuttosto «inventare il vero». Verso Ghislanzoni è esigentissimo; sa che se il libretto non funziona, la scrittura musicale ne risentirà: «Ho ricevuto i versi che son belli ma che non vanno del tutto bene per me» e allora li scrive lui stesso, chiedendo a Ghislanzoni di migliorarli. Il librettista ubbidisce, dichiara spesso «umiltà» di fronte al genio del musicista, sapendo, da professionista, che in un dramma musicale è sempre la musica a tracciare la rotta. Molte riscritture accompagnano la nascita del duetto tra Aida e il padre Amonasro, che la accusa di aver tradito la patria, avendo come amante Radamés, il capo dell’esercito egiziano che ha sconfitto il suo popolo etiope. Ghislanzoni, qui, difende il suo punto di vista: «Ho mantenuto sempre l’O padre mio di Aida, perché il primo movimento di una figlia che rivede il padre è quello di slanciarsi verso di lui». E quando si tratta di andare in stampa con il libretto, il letterato corregge ogni minimo refuso: un punto, un punto esclamativo, una virgola. Sente che Aida potrà essere il suo capolavoro, che grazie ad Aida verrà ricordato, come effettivamente acca-drà, nonostante abbia scritto decine di altri libretti (il cui elenco è riportato in una delle appendici). La corrispondenza tra i due autori, che non avranno occasione di altre collaborazioni, prosegue anche gli anni successivi. Genova, 24 marzo 1875, è Verdi a scrivere: «In quanto a me (v’hanno ingannato) non faccio nulla, nulla, nulla. Han bel dire tutti “scrivete”. E poi?». Sono gli anni lunghi della sua crisi creativa, anche autocritica, dalla quale uscirà, ma soltanto nel 1887, con Otello.
Ghislanzoni ha guai di salute, nel corpo e nella mente, si deprime. Verdi lo consola: «Lasciate che il mondo vadi come vuole. Vale così poco che è pazzia mangiarsi il fegato».