il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2024
Ritratto di Ghali
Le farfalle. Sul prato davanti al carcere di Bollate, dove gioca con i bambini degli altri detenuti. Non le aveva mai viste: svolazzano libere, gli uomini sono in gabbia. “Pensavo fosse normale avere un papà in galera”. Il suo ci era entrato nel primo giorno di scuola di Ghali. Ne sarebbe uscito che il ragazzino frequentava la terza media. Il padre gli regala cd tarocchi confezionati dal compagno di cella, il rap di Eminem e di 50 Cent. Nella compilation non c’è “L’Italiano” di Cutugno, che mamma Amel canticchiava quando la famiglia unita viveva non lontano da Piazzale Loreto. L’arresto dell’uomo cambia le cose. Milano sposta il bambino più a ovest, dove i libri di Storia si confondono con il mattinale della Questura. Baggio, diventato quartiere per “annessione” firmata dal Duce. Lì, dall’aerodromo, partì Nobile per andare a schiantarsi al Polo Nord. L’“Italia”. Che pretesa esplorare: se eri operaio i viaggi dovevi farli a piedi verso la fabbrica – cantavano Gaber e Jannacci – percorrendo la “Baggina”, la strada del Pio Albergo Trivulzio. Dove il tritatutto di Mani Pulite prese a vorticare attorno alle mazzette di Mario Chiesa otto mesi prima della nascita, in città, di Ghali Amdouni. Che traslocherà in periferia con la sciarpa milanista al collo. Mamma Amel si presta a far lavori umili, il marito una volta fuori tornerà in Tunisia. I soldi non bastano mai, uno sfratto via l’altro, mobili neanche a parlarne, mamma e Ghali dormono in una stessa stanza, su un tappeto, finché lui non ha 23 anni ed è un lungagnone di quasi due metri. Da adolescente ha fatto una cazzata. In una settimana al Beccaria, Ghali capisce l’importanza degli errori. Sente la protezione di mamma: “Habibi” la chiama, amore. Lei, insidiata da un cancro che grazie a Dio sparisce, tutto quel che guadagna lo spende per vestire bene il figlio. Nessuno deve parlarci dietro. Ghali vorrebbe farla contenta con i voti ma molla prima del diploma da grafico al Rosa Luxembourg, i cd di papà sono un cordone ombelicale. Lo abbaglia Michael Jackson. Prova presto a comporre qualcosa di decente, però a casa come si fa? Meglio il Parco Natura, pure lì volano farfalle. E sassi dei bulli. Ok, la musica può essere uno scudo. Se accetti il duello ti rispettano. Peccato che alla prima sfida nel freestyle un rivale lo surclassi, Ghali non apre bocca. Decide di chiamarsi Fobia, poi Ghali Foh. Nel 2011 fonda i Troupe d’Elite con un’altra futura star, Ernia. Li scartano ad Amici, ma Gué Pequeno accoglie Ghali. Va in tour con Fedez, collabora con Sfera Ebbasta. Sfonda nel 2016. Un primo singolo, “Ninna Nanna”, vola su Spotify, quindi “Pizza Kebab” e un discone d’esordio (il primo di quattro), “Album”: è un trapper, ma se “trapping” è slang per “spacciare”, Ghali non è un poco di buono. E sa cosa dire. In “Cara Italia” rivendica le radici tunisine e l’identità di italiano 2.0: “Oh eh oh, quando mi dicon Va’ a casa!/Rispondo Sono già qua”. Chi lo spiega ai razzisti? Lui. A San Siro. 2021, il derby. In tribuna c’è l’altro tifoso rossonero Salvini. Ghali lo prende di petto. Aveva già rosolato il ministro nel remix di “Vossy Bop”: “Alla partita del Milan ero in tribuna con gente/C’era un politico fascista che annusava l’ambiente/La squadra da aiutare a casa propria praticamente/Forse suo figlio è pure fan, ché mi guardava nel mentre”. Il leghista si impanca a martire, Ghali lo ignora e dona un’imbarcazione, “Bayna”, alla ONG Mediterranea. “Fossi nato in Tunisia, avrei fatto di tutto per fuggire da lì”, ammette. Ringrazia sua madre per averlo partorito a Milano. Che è “Casa mia”, come vuole la canzone portata a Sanremo 2024: composta in gran parte prima del 7 ottobre, ultimata dopo. Dentro, quei versi: “Ma come fate a dire che qui è tutto normale/Per tracciare un confine/Con linee immaginarie bombardate un ospedale/Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane/Non c’è mai pace” che indispettiscono la comunità ebraica meneghina. Prima dello “Stop al genocidio”, la barra più sferzante del ragazzo di Baggio.