La Stampa, 15 febbraio 2024
La gelata mattone
La voglia di casa post Covid si è esaurita, lo spettro dell’inflazione agita ancora i sonni dei banchieri centrali e gli istituti di credito temono possa arrivare una recessione e per questo sono più prudenti con le erogazioni dei mutui. Il mix di questi fattori determina il dato certificato ieri dall’Istat. Nella prima metà dello scorso anno sono calate le compravendite immobiliari e hanno fatto ancora peggio le erogazioni di mutui. I numeri dicono che nel secondo trimestre 2023 le compravendite di unità immobiliari sono state 235.725. La variazione percentuale calcolata sul dato destagionalizzato è di -4,1% rispetto al trimestre precedente, mentre la flessione su base annua è del 16%. Il dato riguardante i mutui come detto è anche peggiore. Le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare sono state nel periodo 78.512, in calo del 7,3% rispetto al trimestre precedente, e addirittura del 35,3% sull’anno.
«Bisogna tenere conto del fatto che il dato del 2022 era sorprendentemente alto», commenta Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma. «In generale veniamo da un biennio post pandemia in cui il mercato è andato particolarmente bene perché c’è stata un esigenza di migliorare la propria condizione abitativa, messa a dura prova dal Covid».
È però evidente che il contesto macroeconomico sta avendo un influenza notevole sul trend di mercato. «Le politiche monetarie messe in campo per frenare l’inflazione ovviamente hanno conseguenze», prosegue Dondi. In realtà, i tassi attuali «non sono così elevati, ma il mercato si era abituato a denaro a costo zero». Il problema è che accanto al crollo delle compravendite si associa la flessione dei mutui. «Gli istituti di credito sono diventati meno propensi a concederli, perché preoccupati dei rimborsi. Le banche hanno il dubbio che possano arrivare difficoltà economiche e le stanno in qualche modo anticipando. In questo momento prevale l’attendismo, in attesa di capire le mosse delle banche centrali e come evolverà la situazione».
L’aspetto interessante è che questo calo delle compravendite non si riflette in un calo dei prezzi delle abitazioni, che continuano a rimanere stabili e anzi in alcuni casi ad aumentare seppur lievemente. «Un fenomeno tipico italiano», spiega ancora Dondi. Il mercato nazionale, nota, «storicamente fa segnare un grande ritardo nell’adeguamento dei valori. Chi vende non trova compratori ma è lento ad adeguare i prezzi e questo irrigidisce il mercato e allunga i tempi della crisi». Viene da chiedersi quanto durerà questo momento di contrazione. «Molto dipenderà dalle scelte delle banche centrali», sottolinea ancora una volta l’ad di Nomisma. Sul tema ieri il vicepresidente della Banca centrale europea (Bce) Luis de Guindos ha sottolineato che «ci vorrà del tempo prima di avere le informazioni necessarie per confermare che l’inflazione sta tornando in modo sostenibile all’obiettivo del 2%». L’incertezza insomma è destinata a durare. Dondi conclude: «Non mi aspetto novità positive prima di settembre-ottobre di quest’anno».
Il dato sulle compravendite peraltro ha un effetto a cascata anche su quello degli affitti. «Ora che l’inflazione si sta attenuando in modo consistente, iniziamo ad osservare un miglioramento delle condizioni di accesso al credito grazie alle prospettive di normalizzazione delle politiche monetarie delle banche centrali», commenta Andrea Mancini, Head of Living Investment Properties di Cbre Italy. Tuttavia, prosegue l’esperto, «sarà difficile tornare a un regime di tassi d’interesse altrettanto favorevole per l’accesso ai mutui rispetto a quanto registrato negli ultimi anni, inoltre non va sottovalutato l’impatto che l’inflazione ha avuto sui salari reali e la conseguente riduzione della sostenibilità delle rate di un mutuo per molte famiglie. Per questi motivi ci aspettiamo un’intensificazione dell’aumento del numero di persone che vivono in affitto, in linea peraltro con quanto già osservato, soprattutto nelle generazioni più giovani, già da diversi anni, un fenomeno sempre più intenso nelle principali città». Fattori che peraltro secondo Mancini «continueranno a sostenere l’interesse degli investitori nei confronti del Built-to-rent», il nuovo modo di concepire lo sviluppo immobiliare, ossia la costruzione di edifici dotati di molti servizi con abitazioni destinate all’affitto e non alla vendita.