la Repubblica, 15 febbraio 2024
A Manhattan con il visore che fonde reale e virtuale
NEW YORK – Alla fine ti viene il dubbio se stai vivendo nella realtà, in un mondo tutto virtuale, oppure in una singolare commistione fra esseri umani e computer. In altre parole il futuro prossimo venturo, in cui persone e macchine saranno destinate a fondersi. Che poi è insieme lo straordinario fascino e la comprensibile preoccupazione, generati dall’universo super efficiente ma distopico in cui entri indossando il Vision Pro, nuovo headset appena messo in commercio dalla Apple per inaugurare l’era dello “spatial computing”.
Quando arrivi al negozio nel cuore del Meatpacking District di Manhattan, per provare l’ultima magia tecnologica, Chris ti accoglie con un sorriso e ti invita a sedere sopra un divano, circondato da altri esseri umani che già vagano nella realtà virtuale: «Benvenuto nel futuro. Sei eccitato all’idea di fare un’esperienza unica nella tua vita?».
Come prima cosa registra uno scan del tuo volto, di fronte e di lato, per essere sicuro che l’apparecchio si adatti perfettamente alla faccia. Si tratta di un Vision Pro 256GB, prezzo al dettaglio 3.500 dollari, ma sembrano un paio di occhiali da sci. Quindi ti chiede di allungare le mani per fare un altro scan, che servirà all’headset allo scopo di riconoscerti quando gli darai i comandi. Tipo il padrone di un cane col nuovo cucciolo. Infine si fa consegnare i tuoi occhiali da vista per verificarne la gradazione, in modo da aggiungere lenti correttive all’apparecchio per renderlo esattamente funzionale agli occhi del cliente. Già qui ti viene un primo dubbio, perché a questo punto la Apple possiede tutte le tue misurazione biometriche essenziali, e puoi solo sperare che ne faccia un uso giudizioso.
Chris ti invita a pigiare il tasto sulla destra dell’apparecchio, e così entri nel nuovo universo. Ti appare di fronte uno schermo con tutte le app che troveresti sul tuo iPhone, ma appese nel vuoto. Epperò nello stesso tempo riesci a vedere Chris come se avessi davvero indossato solo un paio di occhiali da sci. In realtà non puoi guardare attraverso le lenti, ma osservi il mondo reale grazie a telecamere che te lo proiettano nell’headset. Così capisci perché la collega del Wall Street JournalJoanna Stern sia andata a sciare con il Vision Pro in testa, o abbiacucinato, durante la sua prova. Ti spieghi perché uno scriteriato lo abbia acceso mentre era al volante della sua macchina, con l’autopilota inserito. Perché l’istinto sarebbe quello di alzarti e camminare, tanto è normale la vista davanti a te. Chris capisce lo stupore e commenta: «Cool, eh?”, fico no?» Gli chiedi se è possibile guidare con questo coso sulla testa, ma lui è stato istruito bene ad usare prudenza: «Non te lo consiglierei. Puoi svolgere molte attività normali, perché come vedi la percezione della realtà è perfetta. Però eviterei la guida». Il motivo non lo spiega, ma è evidente: se per qualsiasi ragione l’apparecchio smettesse di funzionare, ti ritroveresti al buio all’improvviso. Situazione non raccomandabile, quando magari stai andando a 130 chilometri orari in autostrada.
Chris ti invita a cliccare sulla app delle foto, operazione che si fa semplicemente guardandola dentro l’apparecchio e facendo il gesto di un pizzico con due dita. «Benvenuto in Islanda», dice lui sorridendo. In effetti, se usi la modalità immersive, ti dimentichi di stare sulla Quattordicesima strada di Manhattan. Ma è niente, rispetto ai video tridimensionali che puoi riprendere con lo stesso Vision Pro, e guardare come se ci stessi dentro. Con lo stesso metodo, e l’aiuto dello scan facciale registrato all’inizio, puoi avere conversazioni in tempo reale con persone che stanno fisicamente dall’altra parte del mondo, ma ti sembrano sedute sul tuo divano.
La sezione intrattenimento lascia a bocca aperta. Chris suggerisce di guardare “Avatar: The Way of Water”. L’avevi già visto a casae quindi è utile per fare un paragone diretto. Sembra di starci dentro. Kiri, Lo’ak, Tuk e i Tulkun ti nuotano così vicino, che ti verrebbe naturale di salirci sopra.
Ma il lavoro chiama, e puoi serenamente svolgerlo attaccato all’apparecchio, che ti consente di aprire la tastiera, scrivere, guardare le mail, navigare internet. Non solo, ma puoi aprire più app davanti a te, tenendone una a destra, l’altra a sinistra o dove preferisci, per un multitasking a 360 gradi da far girare la testa. E qui sorge un altro problema, che tecnici e medici devono ancora studiare a fondo: quali sono gli effetti sul cervello? Quanto a lungo possiamo restare attaccati allo “spatial computing”, senza procurarci danni fisici? Perché una volta che lo indossi, potresti dimenticare di averlo davanti agli occhi e passarci l’intera giornata. La differenza rispetto agli altri visori della realtà virtuale, infatti, è che non sei dentro una scatola con cui ti isoli completamente del mondo. Il computer si fonde con la persona, nel senso che puoi vedere insieme la realtà e la finzione, le app di lavoro e il volto di tua figlia che ti chiede aiuto con i compiti.
Qui si apre la riflessione infinita sul futuro dischiuso da questi strumenti. L’intelligenza artificiale, così come tutte le altre novità tecnologiche che magari ancora non esistono, verranno integrate nel sistema mano a mano che si svilupperanno. Non c’è il minimo dubbio. Non ci spingiamo ad immaginare la fusione con strumenti tipo l’impianto nel cervello appena realizzato da Neuralink, ma non esistono neppure ragioni definitive per escludere qualche genere di collegamento.
Senza avventurarsi nella fantascienza, è altrettanto scontato che questi apparecchi continueranno ad evolversi, diventando sempre più agili e facili da indossare. Al momento Vision Pro somiglia ad un paio di occhiali da sci, già un significativo passo avanti estetico, rispetto ai tozzi visori del passato. Però è ovvio immaginarlo nel prossimo futuro come un normale paio di occhiali, che puoi portare senza alcun limite mentre passeggi in strada. La scelta se andare o meno in questa direzione probabilmente non esiste: sarebbe come pretendere di viaggiare sempre sulle carrozze tirate dai cavalli. Il come, però, dipende ancora da noi.