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 2024  febbraio 15 Giovedì calendario

Intervista a Holly Jackson

La brava ragazza del giallo 2.0 è tornata. E stavolta la sua storia young adult, un thriller mozzafiato che ricorda i migliori Stephen King, fa ancora più paura. Holly Jackson, la scrittrice inglese classe 1992 diventata un caso editoriale con la sua serie Come uccidono le brave ragazze – 350mila copie solo in Italia – stavolta ci mette di fronte a una questione universale: in situazioni di pericolo si è disposti ad aiutare gli altri? O quello che conta è salvare sé stessi?
Della trama diFive Survive,uscito ieri per Rizzoli, possiamo svelare solo quello che basta per restituire l’atmosfera al cardiopalma. Notte: sei ragazzi in un camper che si ferma in mezzo al nulla. Cellulari fuori uso e, al di là dei finestrini, un cecchino che conosce un segreto che riguarda uno di loro ed è disposto a tutto per vendicarsi. Ma di chi? E perché?
Appassionata di thriller e videogiochi – costruisce le sue storie navigando su Google Maps – Jackson indaga la nostra anima nera.Come uccidono le brave ragazze, pubblicato nel 2019, ha scalato le classifiche quando è apparso inHeartstopper, serie tv amatissima dagli adolescenti, diventando virale su TikTok. Ma nonostante sia un’autrice bestseller, la scrittrice si racconta con ironia e tanta umiltà: «Ho avuto molta, moltissima fortuna».
Il crime young adult ha una ricca tradizione, a cominciare dall’iconica detective Nancy Drew che ha affascinato milioni di lettori. Cosa piace ai ragazzi e alle ragazze delle storie oscure e misteriose?
«Gli enigmi possono essere frustranti finché non li risolvi, ma poi ottieni quella spinta di catarsi e soddisfazione. Ecco il motivo per cui è bellissimo perdersi in queste storie. Con un thriller si fa un patto: sai che ci sarà un crimine complicato, indizi e false piste, e sai che alla fine otterrai una risposta, che tu l’avessi previsto o meno. Questo appello è universale».
I protagonisti sono tutti poco più che adolescenti: come definirebbe l’adolescenza?
Cosa è stata per lei?
«Da adolescente, ero già unaversione in miniatura di quello che sono adesso con un pizzico di rabbia extra alimentata dagli ormoni e uno stomaco senza fondo capace di mangiare tutti gli snack disponibili. Sapevo già che volevo fare la scrittrice ed ero già ossessionata dai videogiochi, dalla lettura e dai film: è quasi imbarazzante il numero di volte in cui ho riguardato Il Signore degli Anelli e
Pirati dei Caraibi. Ho scritto il mio primo libro a 15 anni. Sono stata fortunata ad avere le idee chiare così presto ma, allo stesso tempo, il rischio di fallimento era altissimo: sono grata all’adolescente Holly, e a ogni versione precedente di me, per non essersi mai arresa».
I personaggi si trovano in una situazione estrema: esiste un senso di fratellanza universale, oppure la logica della sopravvivenza individuale prevale sempre?
«Era proprio questa la dinamica che volevo esplorare. E la risposta è che una situazione di sopravvivenza estrema può far emergere il meglio di alcune persone e il peggio di altre. Nel romanzo, Red prende una stradae Oliver Lavoy ne prende un’altra».
La realtà spesso supera la fiction: quanto i veri casi di cronaca entrano nei suoi libri? E perché le storie nere piacciono tanto?
«Non ho mai nascosto di fare molte ricerche su casi reali quando progetto le mie trame.
Sono un’avida consumatrice di true crime, podcast e documentari, ma sono allo stesso tempo molto consapevole che si corrono dei rischi. Per questo non specifico mai quali sono i fatti di cronaca che mi hanno ispirata. Le storie nere hanno un fascino duraturo, non soltanto perché alimentano la curiosità morbosa, ma anche perché parlano al nostro istinto di sopravvivenza: e credo che questo ci riguardi soprattutto come donne. È quasi come un allenamento: cosa farei se mi trovassi di fronte a una situazione simile?».
La serie “Come uccidono le brave ragazze” è diventata un bestseller mondiale: cosa ha conquistato i lettori?
«Penso che abbia mantenuto le promesse che aveva fatto all’inizio e che il finale abbia sorpreso molti lettori. Aveva anche un titolo maledettamente bello e, ovviamente, Pip e Ravi.
Questo è tutto ciò di cui posso prendermi il merito, ma ci sono molti fattori esterni che mi hanno portata dove sono oggi. Il tempismo fortunato ha giocato un ruolo: l’ascesa di BookTok ha fatto una grande differenza. Era il libro giusto nel posto giusto al momento giusto, e sarò per sempre grata a qualunque lotteria di possibilità io abbia vinto».
Nell’epoca della cancel culture, si è mai chiesta se ci sia qualche argomento del quale è meglio non parlare?
«I miei libri dovrebbero avere un enorme cartello che dice: “Nonprovarlo a casa”. Non penso che sia mio compito ispirare, formare o guidare moralmente chi legge.
Il mio lavoro è esclusivamente quello di raccontare una storia quanto più avvincente possibile, di portare il personaggio principale – e il lettore – in un viaggio, in cui il protagonista, spesso molto imperfetto, lotta e alla fine cresce e cambia, ma non sempre in bene. I miei romanzi certamente vivono in una zona molto grigia e spero che i lettori non cerchino di replicare ciò di cui scrivo! L’unica cosa che spero si portino dietro, è la lezione che i protagonisti imparano entro la fine del libro: la “verità” che scoprono, può essere utile anche a chi legge».
Un gruppo di ragazzini, paura: in alcuni punti “Five Survive” ricorda le atmosfere di Stephen King, pensiamo a “It”, ma anche “Il signore delle mosche di Golding”, che a un certo punto viene citato. Quali libri hanno influenzato il suo immaginario?
«Ho letto tanti romanzi per adulti quando probabilmente ero troppo giovane per farlo. Molti Stephen King e Harlan Coben.
Ma penso anche di essere stata influenzata da tv, film e videogiochi. Ricordo di essermi sentita d’un tratto molto cresciuta, la prima volta che mi è stato permesso di restare sveglia e guardare una trasmissione sugli omicidi con i miei genitori.
E da quel momento in poi, ne sono rimasto affascinata». E per fortuna.