Corriere della Sera, 15 febbraio 2024
L’Italia resta sotto il 2%
Di solito, almeno a Washington, veniamo inseriti fra gli alunni «impreparati»: se ne lamentava, con i governi italiani, persino Barack Obama. Ma non è solo il parametro del 2% di contributi sul Pil destinati alla Nato l’unico parametro da prendere in considerazione per il nostro governo. La realtà è più complessa. Su altri parametri siamo più «preparati» di altri. I tecnici lo chiamano in gergo burden sharing, ovvero il rispetto degli impegni assunti in occasione del summit in Galles nel 2014, ribaditi a Varsavia nel 2016. Questi criteri sono almeno tre e consentono di giudicare lo sforzo finanziario di ogni membro dell’Alleanza. Il burden sharing richiede, infatti, lo sforzo di ciascun Paese a tendere, entro il 2024, al raggiungimento dei seguenti obiettivi, le cosiddette «tre C»: il 2% delle spese per la difesa rispetto al Pil («cash»); il 20% della quota del budget della Difesa da destinare agli investimenti («capabilities»); il contributo a missioni, operazioni e altre attività Nato («contributions»). Il rapporto tra spese militari e Pil in Italia nel 2023 è stato pari all’1,46% del Prodotto interno lordo. Nel 2022 il rapporto era dell’1,51%. Nel 2015 il picco più basso degli ultimi dieci anni, 1,07%. Con riferimento alla quota del budget della Difesa destinata in Italia agli investimenti, il report Nato del 7 luglio 2023 stima per lo stesso anno una percentuale del 23%, superiore al parametro del 20%. Per quanto concerne infine i contributi operativi, oggi le Forze armate italiane partecipano a 9 missioni della Nato, con una presenza massima autorizzata dal Parlamento di 5.200 unità e un finanziamento di 463,5 milioni di euro. Le missioni sono di diversa natura, e su diversi contesti geografici, dai Balcani al Mediterraneo, dall’Iraq al rafforzamento dei confini Est dell’Unione europea, sino alla difesa del controllo dello spazio di tutta l’area della Nato.