Corriere della Sera, 14 febbraio 2024
De Luca, Granduca di Campania
Partiamo concreti.
Dev’esservi chiaro che Vincenzo De Luca, detto Enzo, non è il governatore della Campania. Ma è molto di più: De Luca è il Granduca di Campania.
Parecchi anni dopo la scomparsa dei Borbone, in quelle terre si è insediato lui: sfrontato e simpatico, temerario e con un talento per le furbizie più efferate, pittoresco e volgare, arrogante e poi capace di dolcezze inaudite, visionario davanti alle telecamere e lucido nella sua stanza di Palazzo Santa Lucia, un po’ reggia e un po’ ufficio, i lampadari sempre accesi per un uomo ferocemente sempre in carriera, dall’alba al tramonto, d’estate e d’inverno, un anno dopo l’altro fino ad arrivare a questi giorni, d’improvviso pieni di un protagonismo nuovo. E sospetto.
Cos’ha in mente De Luca?
Dobbiamo restare dentro la cronaca recente. Gli attacchi alla premier Giorgia Meloni e al governo – «Imbecilli, farabutti, disturbati mentali» – sono aspri (eufemismo) e ormai quotidiani. Siamo ben oltre la nota bizzosa estemporaneità (Maurizio Crozza, nelle sue trasmissioni, ci ha costruito sketch leggendari). Siamo, quasi certamente, dentro una strategia precisa. Che però, per adesso, è piuttosto complicata da mettere bene a fuoco. Anche perché è chiaro che rovistare tra i neuroni di un simile personaggio significa trovare molti pensieri scabrosi. Su Rep, Stefano Folli ha avanzato un’ipotesi: De Luca vuole diventare il protagonista forte del Pd, da Napoli in giù. Cerca il colpaccio: prova a incoronarsi Re delle Due Sicilie. Che poi è un po’ quello che pensano al Nazareno. Dove la manifestazione che De Luca ha organizzato per domani a Roma, in piazza Santi Apostoli, viene interpretata come il tentativo di un’autoinvestitura: 500 amministratori (ma il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi non ci sarà, ha delegato l’assessora Teresa Armato) più dieci pullman di militanti convocati per protestare contro l’autonomia differenziata che isola il Sud, contro il blocco dei fondi europei di coesione e sviluppo destinati alla regione che guida. Sottinteso: il Mezzogiorno lo difendo io. Immaginate la sua voce cantilenante: «Sono, non dimenticatelo, l’esponente dem più votato d’Italia. Essere eletto in Campania con il 70% non è banale. Per capirci: ho preso il triplo dei voti che Elena Schlein ha preso alle primarie».
Notare bene: Elena, non Elly.
Un po’ ironico, un po’ sprezzante.
Perché l’altro grande obiettivo di De Luca era e resta la sua segretaria. I rapporti, tra i due, più che complicati, sono inesistenti. Lui la detesta. Lei, appena eletta, gli spedisce due commissari (l’ex leader della Cgil, Susanna Camusso, con il compito di ripulire Caserta, luogo – raccontavano – di intrallazzi pazzeschi proprio alle ultime primarie; e Antonio Misiani – senatore bergamasco, schiaffo doppio – a controllare l’intero territorio, Napoli compresa). Rileggersi gli appunti. C’è scritto: Elly, baldanzosa, non si ferma. Così, prima se la prende con il figlio Piero, il mite Piero De Luca che, da vice capogruppo a Montecitorio, un pomeriggio si ritrova retrocesso a segretario d’Aula. Poi, a Napoli, in un albergo – durante un incontro che sarebbe piaciuto molto a Quentin Tarantino – addirittura annuncia al potente cacicco che può togliersi dalla testa l’idea di essere candidato alla Regione per un terzo mandato.
Lui risponde sfilandosi gli occhialini appannati, la mano tremante, le pupille come mosche impazzite: «Andrò… avanti… nei… secoli». Quindi parte con le presentazioni del libro che ha scritto per Piemme: Nonostante il Pd.
Cinema, librerie, sezioni stracolme. Applausi, selfie, grida di evviva. Il sultano delle tessere è graffiante. «Ho appreso che Elena si avvale della consulenza di una armocromista, la quale si fa pagare 300 euro all’ora… si chiama Enrica Chicchio… cacchio, mi verrebbe da dire». Forse è in quei giorni che inizia a prendere forma il suo piano. A 74 anni è arrivato il tempo di assumere una dimensione nazionale. Deve puntare direttamente la Meloni. E fregarsene della Schlein. Del resto, De Luca sa tutto, ha visto tutto. Viene da lontano.
De Luca è il grigio dirigente comunista che, mischiando il dialetto stretto a dotte citazioni di Cicerone, inizia la scalata al potere riuscendo a prendersi Salerno per quattro volte, sindaco con effetti speciali, i manganelli ai vigili urbani («Il manganello – diceva – è un commovente strumento di persuasione») e le fontane d’acqua nelle piazze: e poi sempre un ghigno di purissimo scherno per ogni inchiesta giudiziaria, per ogni soprannome che gli appendono sulle spalle. «O’ Faraone», «Fidel», «Sceriffo». Lo attaccano, e lui gode. Lo trascinano in tribunale, e lui gode anche di più. I nemici lo esaltano. E scatenano la sua fantasia. Stefano Caldoro, storico avversario: «Un pastorello di San Gregorio armeno». Luigi Cesaro (all’epoca, presidente della Provincia di Napoli): «È un oltraggio alla biologia, è una polpetta». Marco Travaglio, direttore del Fatto: «È uno sfessato. Spero di incontrarlo di notte per strada». Vittorio Feltri: «Noi meridionali inferiori? Dipende da quello che decidiamo di misurare». Michele Santoro: «Me lo ricordo quando, candidato alle Europee, mi chiamava perché gli serviva una mano. Cialtroni, gentaglia, personaggetti». Rosy Bindi (ospite su La7 di Lilli Gruber): «Impresentabile sotto tutti i punti di vista». Roberto Fico: «Il chierichetto». Luigi de Magistris: «Questo ex sindachetto chiamato Giggino».
Avete capito tutti chi è De Luca, no?
Calma. Perché uno che non l’ha ancora capito, c’è. Eccolo, è lui: il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Il quale, avendo quella certa ideuzza di candidarsi per il centrodestra a governatore della Campania, l’altro giorno, dopo l’ultimo insulto rimbalzato dentro Palazzo Chigi – «Siete dei pe-ra-co-tta-ri…» – tomo tomo s’avventura. «Sono pronto a qualsiasi confronto con De Luca!». Risposta: «Io non mi confronto con i parcheggiatori abusivi» (un po’ ruvida e politicamente scorretta, in effetti: però bisogna ammettere che fa ridere).