il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2024
Dalla Russia con orrore
“Zio, te lo vuoi fare un giro? Zio!”. Una ragazzina di dodici anni si offre a Israel Joshua Singer mentre è in visita in Unione sovietica nel 1927. Singer è colpito dalla torma di besprizorniki, minori abbandonati che scorrazzano a Mosca e altre città, tra occhi cisposi, capelli sporchi e malattie veneree. Non si è imbattuto in un inquietante manifesto che li ritraeva avvolti in stracci, con in mano pistole o sigarette da vendere di sfroso, fissandone la quantità nella cifra mostruosa di sei milioni e descrivendoli come “una terribile minaccia per il Paese e la rivoluzione”, prospettiva ideologica e per niente umanitaria. Persino un francobollo veniva dedicato ai besprizorniki. Potenza della numismatica staliniana. Altro che Gronchi rosa.
Non solo i bambini randagi, ma le condizioni generali delle immense terre che attraversa in auto danno al giornalista e scrittore polacco l’idea che La nuova Russia – questo il titolo della raccolta di reportage riuniti e pubblicati in anteprima mondiale da Adelphi, a cura di Elisabetta Zevi e in libreria da martedì – sia un luogo contraddittorio. Ancora in subbuglio, soprattutto nelle città. Misero anche nelle campagne. Il divorzio facile ha contribuito a creare stuoli di donne abbandonate con figli. Ci sono poi circoli urbani pieni di coppie scatenate, ubriachi molesti, attaccabrighe, prostitute che si offrono per la via. Un fermento alcolico che verrà soffocato da Stalin, insieme alle forze sane dello slancio bolscevico, ed è il perenne spettro russo. Lo stesso che farà salutare il gelido Putin come un miracolo dopo gli anni selvaggi di El’cin, bevitore e ballerino scatenato ai comizi, colto da malore e scomparso tra il primo e secondo turno delle Presidenziali 1996.
L’on the road singeriano racconta l’epoca della Nep, la nuova politica economica, introdotta da Lenin per mitigare i dogmi marxisti. Lenin è morto prima del previsto e viene venerato come un santo. Il suo volto ha sostituito ovunque le icone. Stalin ha eliminato le opposizioni, ma non ancora stalinizzato il Paese. L’Ucraina di Lenin, esacrata da Putin, con Kharkiv come capitale, è in fase di realizzazione. Per accedere a cariche e lavori di un certo tipo bisogna sapere l’ucraino. Singer compie il viaggio in Urss per scrivere una serie di reportage destinati al Forverts (Forward), periodico yiddish newyorchese e socialista (potremmo tradurre come Avanti) tuttora in vita, al quale aveva collaborato anche Trotskij. Quando Singer arriva in Urss il fondatore dell’Armata rossa era ormai in esilio e avviato alla carambola mortale che lo porterà a finire i suoi giorni picconato in testa in Messico dopo avere goduto delle grazie di Frida Khalo e scritto un testamento politico da cui Benigni avrebbe preso la frase conclusiva: “La vita è bella”.
La questione ebraica è ai primi posti per l’inviato Singer. Liberati dai limiti delle leggi zariste, gli ebrei possono possedere terra, entrare in fabbrica o in miniera nel Donbass. Quasi indistinguibili dal resto della popolazione, anche per la fuliggine che li ricopre. Molti si sono immiseriti e invocano sottovoce un intervento straniero. Ci penserà Hitler nel ’41, ma con le peggiori intenzioni. Singer incontra gli ebrei soprattutto in villaggi sperduti nei dintorni di Kherson dove sono stati mandati come coloni (da quelle parti i genitori di Trockij avevano una fattoria prima della rivoluzione). Per suo grande rammarico, trascurano l’insegnamento dello yiddish ai figli e allevano porci. Il risultato del nuovo corso: trasformare gli ebrei in allevatori di maiali, razza inglese large white. La terre sono state sottratte ai nobili e ridistribuite, steppa da dissodare spesso, la vita è dura più che bella, ma la collettivizzazione forzata e la carestia indotta da Stalin in Ucraina, per non parlare della deriva antisemita del dittatore, segneranno un futuro ben più tragico.
Singer farà in tempo a vedere questa degenerazione, ma da lontano. Tra sé e l’Est Europa metterà in mezzo l’Oceano emigrando a New York nel ’34 e facendo arrivare poco dopo anche il fratello minore Isaac, anche lui scrittore. Israel era più grande e coraggioso, incline alla vita vissuta, aveva preso più dal nonno materno, famoso rabbino tradizionalista di Bilgoraj. Isaac somigliava al padre Pinchas, scalcinato rabbino chassidim di Leoncin (senza incarico ufficiale per il rifiuto di imparare il russo), incline al pensiero mistico-magico, poco dotato di senso pratico. Nella sua autobiografia, Da un mondo che non c’è più (Newton Compton), Israel descrive il padre come un Luftmensch, acchiappastelle direbbero a Roma. E pur con tutte le fragilità e stranezze paterne, Isaac sopravvive a Israel – morto improvvisamente a 50 anni nel ’44 –, si libera della sua ombra protettiva ma ingombrante e ottiene il premio Nobel per la Letteratura nel ’78 restando sempre legato e riconoscente a chi gli aveva salvato la vita e spianato la strada. Intanto, Esther Kreitman, la “sorella pazza”, anche lei scrittrice, si metterà al riparo dal nazismo emigrando ad Anversa e Londra. Uno scrittore per famiglia è fin troppo, ma in alcune famiglie neanche due bastano.