Corriere della Sera, 14 febbraio 2024
Intervista ai figli di Guido Crepax
Come il padre Guido, all’anagrafe sono Crepas ma firmano con la «x»: i propri scritti Antonio, giornalista e scrittore, classe 1961; le sue sculture Caterina, architetta e artista tre anni più giovane. Il terzo fratello Giacomo, 54 anni, architetto, si cura come loro dell’archivio del padre. Il caschetto e le curve di una «sorella di carta», Valentina, nata su Linus e coetanea di Giacomo, resistono nell’immaginario erotico collettivo da decenni, pensati e disegnati sul tavolo dello studio di casa «da cui nostro padre, pur disegnando avventure di ogni tipo, non si allontanava quasi mai». La casa – via De Amicis 45, Milano, come scritto anche sulla carta d’identità di Valentina – è stata venduta anni fa; in uno studio non lontano i fratelli curano l’archivio del padre, organizzano mostre, cedono o rifiutano diritti. «Al cognome veneto Crepas», racconta Caterina, «un parente mise una x, per vezzo. Era una famiglia di musicisti. Franco, il fratello discografico di nostro padre, se la cambiò all’anagrafe. Guido no». Antonio scherza: «In famiglia si dice che fu per avarizia: costava mezzo milione. Ma io credo che lui amasse essere dottor Jekyll e mister Hyde». Un alter ego con la «x»: capace di disegnare Valentina, Histoire D’O, la letteratura erotica da de Sade a von Sacher-Masoch.
La maggior parte dei figli non ha uno sguardo così nitido sull’eros dei genitori. Come vi ha influenzato?
Caterina: «Il fatto è che lui era una specie di Salgari, e prendeva ispirazione soprattutto da noi. Io ero una bambina così timida che non venivo mandata nemmeno all’asilo, e per me era strano trovarmi sulla carta: Valentina bambina ha le mie sembianze, e fa disegni che mio papà copiava dai miei. Il figlio di Valentina era Antonio. Soprattutto, Valentina grande era l’immagine esatta di sua moglie, nostra mamma, la Luisa. Che somigliava, sì, all’attrice Louise Brooks. Ma influenzò Valentina, e Valentina influenzava lei. Comune tra tutte, il caschetto. E il suo fidanzato Phil Rembrandt era uguale a nostro padre. Quindi noi vedevamo queste storie, sì, di fantasia, ma molto sessuali, praticamente tra loro due. Era come vedere loro».
Come vi siete difesi?
Antonio: «Dissociando la fiction dalla vita. Anche perché Valentina è un erotismo all’acqua di rose se lo paragoniamo alle tavole di De Sade, o di Histoire d’O... Forse è anche per queste scene (scene di sadismo ricche di particolari, ndr) che sono cresciuto nel rifiuto della violenza, mi dà fastidio il pensiero. Quelle tavole mi mettevano in difficoltà, e facevo fatica a dirmi: quei disegni li ha pensati, prima che fatti, mio padre».
L’epoca ha cambiato giudizio su quei disegni?
Antonio: «Sono stati contestati anche allora. Nostro padre aveva vissuto la guerra, il fascismo, la censura: tutta la libertà che poteva se la prendeva. Una volta, un collettivo di femministe con gli zoccoli e i gonnelloni venne a casa e chiese di salire. Andarono nel suo studio e strapparono le sue pubblicazioni di fronte ai suoi occhi. Lui era avvilito».
Caterina: «Quest’estate è uscita un’edizione tedesca di Bianca, con lei in museruola nuda in copertina. È un sogno della protagonista. C’è chi ha invitato a non comprarlo. Ma i sogni non sono buoni o cattivi. E poi le donne di Crepax, piene di fantasie, mica erano oggetti: quelle fantasie, quei sogni, li creavano».
Una complessità che è propria di altri anni.
Caterina: «C’era una grande carica libertaria. Anche tra le donne. Mia mamma era una casalinga: ma metteva stivaloni alle cosce, vestiti a rete senza quasi niente sotto. Si distanziava così da una famiglia severa».
Antonio: «A comprare gli abiti di lei andavano insieme. Lui pensava già che poi li avrebbe disegnati».
I vostri amori sono mai stati all’altezza?
Antonio: «No. Dei miei genitori mi è mancata la complicità intellettuale». Caterina ride: «Entrambi siamo felici solo adesso, in tarda età».
Com’era vostra madre?
Caterina: «Il padre generale era stato prigioniero nella Prima guerra mondiale, e poi nei lager polacchi. Lei crebbe non sapendo se l’avrebbe rivisto. La famiglia rimase nella casa di Trieste occupata dai tedeschi, che voleva dire convivere con uomini sempre armati. Con la madre i rapporti erano tesi. Da adolescente si ammalò di anoressia, termine che allora nessuno capiva. Finì ricoverata a Roma, pesava trenta chili: la minacciavano di farle l’elettrochoc, di darle a forza uova crude con una sonda. All’epoca i medici poveretti non sapevano come fare. Poi lei ci raccontava che si era fatta anche un po’ furbetta, cercava di essere carina, aveva capito che i soldati tedeschi avevano nostalgia dei figli per cui andava loro in braccio per un pezzetto di cioccolata. Va’ a sapere cosa ha vissuto. E poi il bombardamento: a Udine, da sfollata, attraversò il rogo di casa sua con i capelli in fiamme... aveva questi traumi».
È mai guarita?
Antonio: «Mai del tutto. Il nostro frigo era sempre vuoto. Se a cena era previsto fossimo in cinque, comprava cinque, non sei, fette di prosciutto. Noi siamo stati tutti un po’ grassottelli, per reazione».
Come gestite il lascito di vostro padre?
Antonio: «Non abbiamo più agenti, valutiamo tutto noi: Valentina è una storia di famiglia. Ci diamo da fare e lui è forse più famoso oggi di quanto lo fosse in vita».
A cosa dite no?
Caterina: «A cose incongrue. Gli agenti ci proponevano slot machine, prodotti per animali, assi da stiro. Una cosa buffa a cui abbiamo detto sì erano quei carrellini con cui si fa la spesa... e ora ogni tanto vedi al mercato qualche sciura col carrellino di Valentina».
Antonio: «No assoluto a sex toys e preservativi. Per Guido l’eros era un fatto cerebrale».
In un’intervista nel 1968 era descritto come uno che «aveva letto tutto Freud e Marx, ma in edizioni di lusso». Un radical chic.
Caterina: «I suoi disegni sono pieni di riferimenti alla psicoanalisi. Ma aveva paura dell’analista, e non ci sarebbe andato mai. Diceva di temere che venisse fuori chissà cosa. Ma più di quel che gli usciva dal pennino...».
Antonio: «Lo stesso vale per i libri. Tutti lo pensano come un lettore colto, ma non leggeva mai. I classici li lesse per illustrarli. Per il resto fu la mamma, insegnante, che coi suoi riassunti gli diede un contributo immenso. Nella mostra che abbiamo curato a Milano (Guido Crepax – L’amore per i libri, alla galleria Nuages) ci sono tavole con le recensioni ai classici scritte da Valentina. Credo fossero gli appunti di mia madre...».
Caterina: «Lei smise di insegnare: lui si pensava un femminista, ma sua moglie la voleva accanto. Quando lei stava tanto con noi, a giocare, a studiare, lui le diceva: non ti ho vista tutto il giorno!».
Ad Alessandria c’è un’altra mostra sua, su Napoleone.
Antonio: «Cimeli d’infanzia: costruiva per noi enormi giochi da tavola con eserciti di soldatini in cartoncino, piombo e balsa. Giacomo, il nostro fratello minore, è nato dopo: si è perso quest’epoca... peccato. Passavamo serate a guardarlo ritagliare sagome di generali. E venivano a giocare Umberto Eco, l’editore Giovanni Gandini, Dario Fo».
In una bellissima storia famigliare, «Io e l’asino mio» (Bompiani, 2020), c’è una frase di famiglia. La mamma di Guido, e di Franco che fu un potente discografico, diceva: io ho due figli, uno fortunato e uno no. Chi era il fortunato?
Antonio: «Noi abbiamo sempre pensato nostro padre. Era un timido, Franco un gaudente: negli anni d’oro della discografia andava a Saint Tropez, aveva la Jaguar... noi eravamo più dimessi. Ma penso che il fortunato fosse Guido, perché aveva un dono».
Caterina: «Ma l’aveva anche Franco: individuava talenti a colpo sicuro. Caterina Caselli, Gigliola Cinquetti. Aveva chiesto a papà di fare delle copertine per i 78 giri, che si vendevano in buste nere... papà fino ad allora era un grafico. L’idea di farlo disegnare fu di Franco. Persino Guido Crepax, in fondo, l’ha scoperto lui».