il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2024
L’Italia? Una fogna a cielo aperto
“Io non mi sento italiano”, Giorgio Gaber, 2002
Il Bel Paese”, così aveva fama l’Italia, tanto che a fare il cosiddetto tour d’Italie venivano i grandi intellettuali e artisti, da Goethe a Stendhal a Oscar Wilde.
E in effetti l’Italia è un unicum, dal punto di vista storico, culturale, artistico, e anche geografico e ortografico. Abbiamo le Alpi, col monte Bianco di quasi 5 mila metri, gli Appennini, il Delta del Po che ricorda un po’ quello del Mississippi e soprattutto 8.300 chilometri di coste. Peccato che le coste ce le siamo rovinate da soli cementificandole, coinvolgendo in questa cementificazione anche alcuni siti archeologici di grande importanza, come quello di Agrigento.
L’Italia è unica per la cultura. Viene dalla latinità e anche dal pensiero greco (la “Magna Grecia”) e lo è rimasta col Rinascimento (Leonardo da Vinci, Michelangelo, Botticelli per dire solo di alcuni).
L’Italia rimarrebbe un “Bel Paese” se non fosse abitata dagli italiani di oggi. Colpisce il suo cinismo da mercato. Si dirà che questo cinismo ormai riguarda tutti nel mondo globalizzato a eccezione di poche enclave, ridotte al margine, dove gli autoctoni hanno conservato la propria dignità. Ma un padre che specula sulla morte della propria figlia è un unicum, questa volta negativo, di noi italiani. A questa speculazione ha aderito anche la sorella della vittima, Elena, e perfino la nonna. Un tempo, in fondo non poi così lontano se anch’io ho avuto il modo di viverlo, una famiglia colpita da una disgrazia si chiudeva in un dignitoso e silenzioso riserbo.
Fa impressione anche la sciatteria degli italiani di oggi, che coinvolge artigiani, giornalisti e quasi ogni altra categoria (giornalismo: ma è mai possibile trovare certi strafalcioni sul Corriere della Sera, il più importante quotidiano italiano?). Un tempo l’artigiano aveva l’orgoglio del suo manufatto, il “capolavoro”, tanto che, ancora oggi, a Milano puoi vedere certi tombini sui quali l’artigiano aveva messo in sigla il proprio nome.
Adesso l’artigiano fa il suo lavoro alla bell’e meglio, contando sull’ignoranza del committente. Tu chiami, e qui comincio a parlare di esperienze personali, un fabbro. L’appuntamento è per le 2 del pomeriggio e quello alle 5 non si è ancora fatto vedere. Ho un garage dove, non potendo più guidare la macchina, tengo una vecchia bicicletta, una Rossignoli con cinque cambi che mi è emotivamente cara perché mi ricorda un’altra stagione della mia vita. Che fanno gli operai della commendevole ditta Di Falco che in Milano hanno ottenuto tutti gli appalti dell’Ecobonus (e anche questo meriterebbe un’indagine della magistratura, perché così siamo in un regime che viola la concorrenza)? Entrano nel garage, probabilmente rubano la bici, a meno che non ci abbia pensato prima qualcun altro, e vi mettono i loro arnesi e le loro masserizie, dimenticandosi, anzi sfottendolo, il proprietario. C’è un furto e una violazione di domicilio.
Potrei, naturalmente, rivolgermi alla magistratura, ma con i tempi delle nostre procedure penali e civili otterrei soddisfazione tra una mezza dozzina d’anni e forse più. Anche perché in Italia s’è venuto creando un doppio diritto, uno per “lorsignori”, fra cui oltre ai politici ci sono anche gli imprenditori, e l’altro per i comuni mortali. È vero che gli artigiani sono tartassati dal fisco, si fa per dire, perché lavorano quasi sempre in nero (ed è anche per questo che possono non presentarsi a un appuntamento già fissato). Ma prova tu, lettore, a fare un’infrazione stradale e il fisco ti è subito addosso con gabelle, tasse e sovrattasse (ricordo una bella vignetta di Giovanni Mosca, l’umorista: si vede un tasso, inteso come animale, con in groppa un tasso più piccolo. “Che cos’è?”, chiede, nella vignetta, l’omino al compagno: “È il tasso col sovratasso, è un animale che esiste solo in Italia”). Del resto se sei ricco e famoso le cose si svolgono molto diversamente.
Ricordo i casi di Valentino Rossi e di Luciano Pavarotti che patteggiarono col fisco ottenendo una riduzione della metà, milioni di euro o miliardi di lire.
Io sono un “fragile”, sia per età che per la menomazione della mia vista. Mi è capitato di essermi perso in un quartiere a me poco noto. Chiedevo indicazioni ai passanti e quelli tiravano dritto. Siccome ho ancora buoni riflessi, sono caduto solo una volta, inciampando in un gradino in piazza Cavour, finendo lungo disteso sul marciapiede. Nessuno che si sia fatto avanti per darmi una mano.
L’individualismo e l’avidità di denaro sembrano la cifra soprattutto nella media borghesia. Io abito in un palazzo abitato da questo tipo di individui. Non si sono accontentati dei vantaggi dell’Ecobonus, supposto che esistano (credo di più a Giorgia Meloni che ha detto che l’Ecobonus ci è costato oltre 100 miliardi) ma hanno voluto anche un telo pubblicitario che per due anni ci ha tolto la vista, il sole, l’aria. Credo, come ho già detto l’altra volta, che se tu proponessi a un bangla: ti do del denaro ma tu per due anni rinunci all’aria, al sole, alla vista, quello ti manderebbe a dar via il culo.
Non abbiamo più valori né ideali. Il Fascismo li aveva, sbagliati, ma li aveva.
Siamo il Paese record con quattro mafie: la mafia propriamente detta, la ’ndrangheta, la camorra, la Sacra Corona Unita. Ma al di sopra di queste si eleva una supermafia, più occulta, che si chiama partitocrazia. È quello che oggi si chiama “amichettismo”, che ha gli stessi metodi della mafia: offre protezione in cambio di sudditanza. Anzi oggi che la mafia ha rinunciato, intelligentemente, a spargere sangue, la similitudine è perfetta. In peggio, perché la mafia conserva un codice d’onore (si veda la dignitosa morte di Matteo Messina Denaro) quella dei colletti bianchi no. Basta pungerli con uno spillo e spifferano tutto, tanto sanno che, in un caso o nell’altro, la galera è solo un’idea platonica, al peggio andranno ai “domiciliari” evidenziando anche qui una sperequazione fra i reati dei ceti sociali alti, per così dire, e quelli da strada, commessi in genere dai poveracci, per i quali vale il brocardo di madama Santanchè: “In galera subito e buttare via le chiavi”.
Scrivevo in un libro pubblicato nel 2010 da Chiarelettere: “Un’Italia ormai inguaribilmente corrotta, nelle classi dirigenti come nel comune cittadino, intimamente, profondamente mafiosa, come sempre anarchica ma senza più essere divertente, priva di regole condivise, di principi, di valori, di interiorità, di dignità, di identità. Un’Italia senz’anima”.
Il Bel Paese? Una fogna a cielo aperto.