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 2024  febbraio 04 Domenica calendario

Il labirinto dello Zibaldone leopardiano

Antonio Gramsci e Walter Benjamin devono non poca della loro fortuna internazionale alla forma provvisoria in cui ci sono giunti molti dei loro scritti: centinaia o migliaia di pagine di appunti per una o più opere da scrivere, densi di intuizioni spesso geniali ma non verificate e non sviluppate, dunque in attesa che qualcun altro le approfondisca per loro. L’abbozzo di un monumento e, al tempo stesso, un piano di lavoro. Quando invece non le si trasformano in un comodo archivio di sentenze lapidarie, buone per sigillare qualsiasi ragionamento proteggendosi dietro a un’autorità riconosciuta.
Allorché, nel 2013, Michael Caesar e Franco D’Intino portarono a termine la loro traduzione inglese dell’intero Zibaldone, in molti immaginarono per Leopardi una sorte analoga. In questi dieci anni, invece, Leopardi ha dimostrato una sorprendente resistenza all’aforizzazione. La profezia non si è avverata, e non è detto sia stato un male.
Che la conoscenza dello Zibaldone possa trarre beneficio da opportune antologie tematiche è invece idea che ha guadagnato crescente consenso tra gli specialisti. Nelle sue oltre 4500 note convivono potenzialmente parecchie opere in attesa che qualcuno ne ritagli la sagoma con le forbici. E se in alcuni casi l’operazione non ha lasciato tracce durature (come la scelta approntata dal narratore inglese Tim Parks sotto il titolo di Passions), in altre occasioni gli effetti sono stati più profondi: a cominciare da La strage delle illusioni, sotto il cui titolo nel 1992 Mario Andrea Rigoni raccolse una selezione dei pensieri più prettamente politici, mostrando quanti problemi ci fossero con il «Leopardi progressivo» che aveva tenuto banco dalla Seconda guerra mondiale in poi.
Speciale importanza ha avuto soprattutto la ricerca portata avanti da oltre vent’anni da Fabiana Cacciapuoti, a lungo curatrice del Fondo Leopardi della Biblioteca Nazionale di Napoli, dove il manoscritto dello Zibaldone è conservato. Nessuna opzione soggettiva, qui. A mano a mano che lo Zibaldone prendeva forma, Leopardi stesso compilò infatti alcuni indici che lo aiutassero a orientarsi nei materiali che andava accumulando e che successivamente gli permettessero di riorganizzare le numerosissime osservazioni disseminate tra quelle pagine in una serie di trattati sui temi più vari. Sono dunque proprio questi trattati, otto in totale, che Cacciapuoti si è proposta di assemblare seguendo le indicazioni contenute nelle carte dell’autore.
Dopo aver curato negli scorsi anni i primi sei percorsi, Cacciapuoti conclude ora la sua impresa con gli ultimi due: Lingue Volgare latino, da cui emergono con la massima evidenza le passioni filologiche e glottologiche che permeano l’intero Zibaldone. È indispensabile però una precisazione in proposito. Leopardi possedeva conoscenze assai sofisticate sulla storia delle lingue antiche, che fanno senza subbio di lui uno dei grandi specialisti in materia della prima metà del XIX secolo. Le sue analisi dei fenomeni grammaticali, fonetici ed etimologici mirano tuttavia quasi sempre a implicazioni più generali: persino dietro le annotazioni più minute si intravedono infatti le curiosità del filosofo del linguaggio, che interroga i vocaboli (e usa la linguistica) come chiave d’accesso alla storia comparata della civiltà e alle invarianti della natura umana. Immergendosi nel nuovo volume della Cacciapuoti, viene anzi da chiedersi se il vero tratto unificante della moderna filosofia italiana – la tradizione Vico-Leopardi-Gramsci – non sia proprio la centralità che le questioni linguistiche hanno svolto in essa (Gramsci si era formato da glottologo, e i suoi studi universitari hanno lasciato una profonda influenza sui suoi appunti carcerari). Nel Paese di Lorenzo Valla è insomma come se il sostrato filologico dell’umanesimo rinascimentale, tenuto vivo grazie alla solidità plurisecolare delle sue istituzioni pedagogiche, abbia finito per plasmare anche i caratteri fondamentali di quello che oggi nel mondo va sotto il nome di Italian Thought.
Proprio l’edizione Cacciapuoti aiuta oggi a cogliere come mai prima la centralità delle riflessioni linguistiche di Leopardi (ben al di là del ruolo, sicuramente decisivo, che esse hanno giocato nel suo laboratorio poetico). D’ora in poi leggeremo dunque in questa forma lo Zibaldone? Sì e no. Per prima cosa, infatti, non tutti i passi del manoscritto sono richiamati negli indici leopardiani, con il risultato che alcune centinaia di pagine vanno comunque reperite altrove. La stesura originale permette inoltre di cogliere alcuni slittamenti del pensiero di Leopardi che altrimenti ci sfuggirebbero: quando un’improvvisa associazione produce sviluppi imprevedibili pure in un altro campo al quale Leopardi stava applicandosi negli stessi giorni.
Tuttavia, anche se gli studiosi non rinunceranno mai alla lettura lineare dei quaderni, ora che è completo, lo Zibaldone di Cacciapuoti è destinato ad affermarsi come uno strumento di lavoro indispensabile. Gli specialisti di romanzo francese dicono che uno studioso di Balzac, per essere davvero tale, deve leggere l’intera Comédie humaine almeno due volte: secondo la cronologia fittizia degli eventi narrati, come è venuta disegnandosi a poco a poco nei decenni, e seguendo le date di composizione. Un solo filo d’Arianna non basta, insomma, per penetrare la logica segreta del sistema: e qualcosa di simile pare valga anche per Leopardi. Adesso però – grazie all’edizione Cacciapuoti – pure nel suo caso è diventato parecchio più semplice percorrere tutte e due le strade e trovare una parvenza di ordine nel labirinto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giacomo Leopardi
Zibaldone di pensieri. Edizione tematica condotta sugli Indici leopardiani, vol. II, Lingue, Volgare latino
A cura di Fabiana Cacciapuoti
Donzelli, pagg. 704, € 50