il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2024
I valdesi. I primi grandi riformatori della Chiesa. Una storia lunga 850 anni sempre attualissima
Ottocentocinquanta anni fa, nel 1174, nasceva a Lione il movimento valdese, sorto per iniziativa del mercante Valdo (1140 – 1218). Prima ancora della predicazione di Francesco d’Assisi, i “poveri di Lione” si proponevano il rinnovamento spirituale attraverso un cristianesimo dei poveri. Per celebrare la ricorrenza, il 16 febbraio, giorno in cui si ricorda la concessione dei diritti civili e politici concessi dal re Carlo Alberto di Savoia il 17 febbraio 1848, la Claudiana, marchio storico dell’editoria protestante, manda in libreria i primi due volumi della Storia dei valdesi. Si tratta di un’opera in quattro tomi, curati rispettivamente da Francesca Tasca, Susanna Peyronel Rambaldi, Giampaolo Romagnani e Paolo Naso.
Quella dei valdesi è una storia segnata dalle molte battaglie per la libertà, dalle tante persecuzioni subite e dalle guerre fatte contro di loro proprio per lo scandalo che, dagli esordi, rappresentò per i poteri costituiti, religiosi e civili. Furono considerati eretici perché era davvero un’eresia, rispetto al mondo dei potenti, quella volontà di ritornare agli ideali del Vangelo fondati sulla povertà e sull’uguaglianza. Era ed è scandaloso perseguire la separazione dal potere politico, la conoscenza diretta dell’insegnamento biblico, la libertà di ogni credente di testimoniare e predicare l’evangelo.
Già condannato per eresia dal potere pontificio all’inizio del XIII secolo, rammentano i curatori dell’opera pubblicata dalla Claudiana, “il movimento valdese resistette alle crociate, alle persecuzioni e ai processi dell’Inquisizione medievale espandendosi in Italia ed Europa e organizzandosi in modo più o meno clandestino fino all’incontro con la Riforma protestante nel XVI secolo, a cui aderì nella versione calvinista”. Nei “decenni centrali del Cinquecento, il movimento valdese cambiò volto diventando chiesa protestante, con i suoi templi, l’organizzazione in parrocchie e quartieri, un corpo pastorale, un governo democratico di concistori locali e sinodo generale”.
In seguito, la storia valdese non fu meno travagliata, e nel XVII secolo il movimento rischiò di scomparire. Nel 1561 aveva ottenuto con l’accordo di Cavour, in Piemonte, il riconoscimento di alcuni diritti, ma nei luoghi di montagna, nelle cui valli alpine si erano insediati, da parte del duca di Savoia Emanuele Filiberto. Nello stesso 1561, tuttavia, vennero distrutte le loro comunità in Calabria. Il 1600, poi, fu una lunga sanguinosa sequela di guerre, d’esilio, di conversioni forzate tanto per volere dello Stato pontificio quanto del Ducato di Savoia, e di resistenza. Quattro date: nel 1655, ecco le stragi nelle cosiddette “Pasque piemontesi”; nel 1686 c’è l’editto di Vittorio Amedeo II di Savoia, con il massacro e la prigionia dei valdesi; il 1687 scandisce l’esilio in Svizzera; infine il 1689, con il “Glorioso Rimpatrio” dei valdesi dalla Svizzera alle valli piemontesi.
Fu Carlo Alberto, dalle tante ombre, ma anche dalle non poche luci, ad aprire la strada della libertà ai valdesi e agli ebrei. Con le sue “Lettere Patenti” del 17 febbraio 1848 scrisse una pagina fondamentale nella storia. Eppure la stessa casa regnante, nel 1938, avrebbe promulgato con Mussolini le leggi razziali.