il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2024
Troppe canzoni cancellano i migliori
Con l’edizione sanremese del 2024 si chiude un ciclo. Quello di Amadeus che ha avuto il merito di riportare la musica al centro della scena trasformando Sanremo in un Festivalbar più formale, attirando il pubblico giovane per cui Sanremo era una roba da boomer (il segreto degli ascolti record). Chiunque arrivi dopo Amadeus ha un compito arduo, che è quello di proseguire questo percorso intercettando quello che piace ai gggiovani senza però rottamare le Bertè.
Diciamoci la verità, se 5 anni fa ci avessero detto che avremmo visto sullo stesso palco Ghali e i Ricchi e Poveri avremmo ritenuto più plausibile vedere La Russa sdraiato sull’asfalto con Ultima generazione. E invece. Detto questo, l’ultima edizione di Amadeus ha avuto ascolti record ma forse non è stata la più memorabile, credo neppure per il conduttore.
Trenta canzoni sul palco hanno annacquato la partecipazione di troppi giovani con talento e poco conosciuti che avevano delle belle canzoni e che hanno finito per sparire inghiottiti da una staffetta sfibrante, durata sempre fino a notte fonda. Non è un caso che nella cinquina finale non sia finito neppure un outsider ma cantanti già famosi e record di vendite (Geolier, Annalisa, Angelina, Irama, Ghali) e che fino all’ultima sera io abbia continuato a chiamare La Sad “quelli con quello con la cresta”. Ma in fondo sono sparite anche belle canzoni come quella di Fiorella Mannoia, inghiottita pure lei dalla legge dello streaming, il che in fondo racconta bene la parabola del Festival targato Amadeus: il Festival dei vecchi è diventato il Festival dei giovani. I “vecchi” servono solo a tenere vivo il marchio, un po’ come Algida che tiene dentro il cornetto classico ma poi ormai vende altri 50 nuovi gelati. Servono per tenere incollato mio padre novantenne alla tv che dopo avermi chiesto 56 volte come si chiama “quella alta con i capelli azzurri?” “Rose Villain!” “Perchè villana?” poi ha visto la brunetta dei Ricchi e Poveri e si è sentito ancora in questo secolo. Dispiace, per esempio, che siano finiti nel grande brodo primordiale dei cantanti meritevoli di rapidi salti evolutivi Gazzelle o i Santi francesi. In un Festival meno affollato li avremmo visti di più e meglio, mentre quest’anno “ubi MAJOR minor cessat”.
Dispiace per Diodato che con un pezzo bellissimo, a 42 anni, è sembrato un tizio di mezza età che finisce in un festival di nuove promesse. Perfino Mahmood è sembrato un pezzo di antiquariato, in mezzo a BNKR44, il Tre, Alfa e tutti ‘sti cantanti con nomi numerici da spie della Cia. Insomma, molto materiale per le radio che hanno mangime di buona qualità per i prossimi mesi, ma la gara è stata un discreto macello.
Il caso “Geolier” ne è la prova. Un pezzo di sala stampa (e cioè gente che vota e decide il vincitore più che il pubblico da casa) non sapeva neppure chi fosse. Chiedi al giornalista medio frequentatore di Sanremo indirizzo e numero civico del ristorante con i migliori fusilli al pesto e lo sa, chiedigli chi è il cantante italiano più ascoltato su Spotify e ti risponde (è accaduto) che di SpotiFIVE sa pochissimo. Non sto dicendo che TUTTI i giornalisti sono così, sto dicendo che non esiste una giuria selezionata. E questo non era un problema finché a Sanremo ci andavano Al Bano e Nek, diventa un problema quando la musica si sposta sullo streaming, su Spotify e TikTok.
Comunque, ha vinto Angelina, grande talento, con un pezzo poco sanremese e che la colloca in una zona artistica ancora da capire. Angelina sembra partorita sul palcoscenico eppure, quando parla di sé, ha un candore così slegato dal suo successo che viene da chiedersi se è autentica o paracula. Di sicuro, la sua era la storia perfetta: figlia di un talent che ne ha valorizzato il talento, una manager (Marta Donà) che non sbaglia un colpo, una canzone di Madame, i look (così così) di Cerioni, il duetto con la canzone del padre scomparso, la sala stampa tutta sbilanciata per lei, insomma, solo un endorsement di Chiara Ferragni poteva cambiare un finale già scritto.
Certo è che questa vittoria a 22 anni è una enorme soddisfazione ma pure una discreta rogna. Un successo così splendente deve continuare a splendere, basta un pomeriggio ombroso per preoccuparsi. Geolier, il secondo classificato, non è riuscito a vendicare Ultimo e al contrario di quest’Ultimo, ha ringraziato garbatamente tutti anziché entrare storto in sala stampa e minacciare “tanto ci ripigliamm tutt chell ch’è o nuost”, come pregiudizio voleva. In realtà è la Rai che dovrebbe ringraziare Geolier perchè con i soldi che i suoi fan hanno investito per votarlo l’anno prossimo a Sanremo si può pagare il cachet di Taylor Swift con il coro delle sorelle Kardashian. Viene pure Ryan Gosling a replicare il ballo del qua qua e senza togliersi il cappellino.
Ghali, al festival con look strepitosi, un brano molto bello e più originale della media, è stato l’unico cantante capace di utilizzare una platea di 10 milioni di persone per ricordare che si sta un consumando un genocidio mentre noi siamo qui a parlare delle favolose autoreggenti di Annalisa o di Mahommod strepitoso col look eunuco-egizio. E lo ha fatto con una grazia potente, senza mezzo passo indietro anche quando lo hanno criticato e minacciato (Dargen invece un po’ s’è spaventato). Sarà un caso che la sala stampa gli abbia dato un misero 3,5% contro il 19% per esempio di Annalisa che, lo dico con rispetto per le canzonette-tormentone, aveva la solita canzonetta-tormentone.
Infine, qualche considerazione sullo spettacolo. Che oltre la musica, dispiace dirlo, ha offerto ben poco. Le co-conduttrici non hanno lasciato il segno, gli ospiti non hanno regalato momenti indimenticabili. Quando Amadeus ha detto piccato che si era parlato troppo del ballo del qua qua di Travolta e poco del momento Allevi stava raccontando, in fondo, la debolezza di questa edizione. Se quella passata è stata cannibalizzata dai Ferragnez, questa è stata masticata con pigrizia, le gag erano tra lo scialbo e l’innocuo, non c’era ambizione di dire nulla se non in parentesi retoriche che boh, a quel punto meglio i monologhi stracciapalle. In fondo, il ballo del qua qua è stato l’unico fuori programma del festival, è stato il “pensati libera” che diventa “John renditi ridicolo”. Peccato per la macchia delle scarpe dello sponsor, quella sì era la parte evitabile e peccato che Fiorello abbia continuato a citare provocatoriamente “Giorgio Armani” sul palco per dimostrare che la pubblicità occulta/subliminale è una stronzata un po’ come fece Amadeus l’anno corso quando tentarono di spiegargli che stava facendo pubblicità a Instagram e non poteva. Per reazione, piccatissimo, citò Instagram di più e più spesso sul palco, col risultato che ora paga 170 000 euro di multa dell’antitrust a metà con Chiara Ferragni.
A proposito, al netto della sua permalosità, Fiorello è stato più misurato e meno invadente, ha dosato meglio la sua presenza, è salito sul palco senza affanno ed è stato una spalla forse meno esilarante ma molto più al servizio dello spettacolo. Insomma, finisce un ciclo e siamo tutti curiosi di capire chi arriverà dopo, sperando che sarà un festival molto più femminile e non perchè vincerà un donna, ma perchè sarà magari una donna a decidere chi sarà sul palco.