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 2024  febbraio 10 Sabato calendario

Intervista a Garrison Rochelle


Possiamo chiamarla maestro?
Sì, certo.
Maestro, allora.
Come vuole, in alternativa può utilizzare coreografo o stronzo; (ride) nessun problema.
Che stronzo di maestro.
Mi sembra perfetto; (cambia tono) in questa fase sono veramente felice.
Bene.
Ogni volta che sto per entrare in scena, un attimo prima dell’ultimo passo verso il palco, sento le lacrime arrivare.
Poi riceve un grande applauso.
Perché prima di me entrano altri attori, anche loro con il ruolo di maestro, ma quando tocca a me Luciano Cannito (regista e coreografo, ndr) mi ha chiesto di fermarmi un paio di secondi: per forza scatta l’applauso. E mi prende un colpo.
L’applauso non c’è solo per la pausa ma per lei.
(Altro tono, fermo, serio) Da quarant’anni sono in Italia, da quarant’anni sono in televisione e da quarant’anni affronto i normali alti e bassi di chi vive davanti a una telecamera. Nel mio piccolo ho vissuto un pezzo di storia del piccolo schermo. Sono riuscito pure a far ballare Maria De Filippi. E questo è un successo.
Con la De Filippi non deve esser stato semplicissimo.
Ogni volta che ballava la trasmissione raggiungeva picchi di ascolto pazzeschi.
(L’accento è un po’ alla Ollio; l’atteggiamento è da chi riporta dolore, sconfitte, successi, buio e luce, qualche ombra, affetti e fraintendimenti sotto il cappello della vita e dell’arte; vita e arte si mescolano, ma a favore dell’arte. Anche perché Garrison Rochelle l’arte l’ha conosciuta presto: appena ventenne è salito sul palco di Broadway e con lui Broadway è sbarcato negli anni 80 in Italia. “Fantastico”, “Risatissima”, poi 18 anni di “Amici”. Oggi è in tournée con il musical “Saranno Famosi”, regia di Cannito: un successo segnato dai sold out).
Psicologicamente come si gestiscono gli alti e i bassi?
Con il sorriso; se trovo un ostacolo, mi abbatto qualche minuto, poi ribalto la questione, cerco il perché, il percome e individuo cosa mi serve; (pausa) con il mio lavoro è semplice venire buttati giù.
Sempre.
Da cinquant’anni: tutti i giorni devo dimostrare quanto valgo.
Qualche certezza l’avrà conquistata.
Sì, il “lei”: primo perché sono anziano, secondo perché ho un curriculum importante.
E vario.
Sono stato ballerino classico, ho cantato e ballato a Broadway, ho lavorato con i numeri uno al mondo; in Italia ho affrontato programmi da milioni di spettatori.
In che anno è arrivato?
Quando la vita era in bianco e nero.
Esagerato, era a colori.
Era il 1984, ma quel periodo lo ricordo in bianco e nero.
Nel 1984 Dallas era una serie super amata. Lei è nato a Dallas.
Tutti a chiedermelo. Un continuo. Non ne potevo più.
Dallas-mania.
Noi siamo andati oltre: la famiglia di Brian (Brian Bullard, suo compagno e partner di lavoro, ndr) acquistò il cavallo di Sue Ellen (uno dei personaggi principali della soap); però la sigla italiana era veramente orrida, sembrava una country serie degli anni 50.
In Italia quanti l’hanno paragonata a Don Lurio?
Tanti! Sono stato pure il suo ultimo assistente e ripeteva sempre: “Prenderai il mio posto”. E infatti mi sento un po’ il Don Lurio del Duemila.
Non vi assomigliate tanto.
Non è vero, pure io sono nano e brutto.
Esagerato.
Sono alto un metro e 70 e da vecchio mi sto rimpicciolendo; inizio a puzzare di cadavere; rispetto a lui parlo meglio l’italiano, anche se marcava il suo accento perché era estremamente intelligente.
Don Lurio aveva la fama di uomo deciso.
È vero, fino al punto di apparire cattivo; era impossibile fargli cambiare idea, specialmente da anziano, e i ballerini soffrivano le sue coreografie. Io qualcosa correggevo. E lui si avvelenava.
Ha esordito a Fantastico 4 con Heather Parisi.
In quel periodo ero nel cast di un musical a Broadway, Dancin’ di Bob Fosse, ed Heather una sera venne a vederci, poi ci ha raggiunti nei camerini e lì per lì non ne rimasi molto colpito, non la conoscevo, mi sembrava una tizia qualunque.
Non conosceva la Parisi, figuriamoci Fantastico.
(Ride) La prima volta che ho visto i filmati della trasmissione ho pensato “oddio quanto è antica”, tra paillettes, musiche, gag, luci, sembrava un programma statunitense degli anni 60; (pausa) inizialmente rifiutai la proposta.
Eppure.
I dirigenti mi raggiunsero a Parigi, dove era arrivata la tournée: “Volete me? Va bene, ma solo se c’è pure Brian”. Peccato che una volta in Italia andava bene Brian e non io.
Come mai?
Per loro ero troppo brutto, “non puoi andare in televisione”.
La sua più grande dote?
La tenacia, da non confondere con convinzione in se stessi.
Esempio.
Maria (De Filippi, ndr) non lo ricorda, ma quando ho iniziato con il suo programma, ero coinvolto solo per le audizioni dei ragazzi; pian piano ho capito che lo scopo finale era proprio quello di ricreare una scuola tipo Saranno Famosi e ho pensato che il ruolo di insegnante potesse essere mio. A quel punto le ho detto le mie intenzioni. E lei: “Non hai la faccia televisiva”.
La storia le ha dato ragione.
Nel frattempo lavoravo anche con Maurizio (Costanzo, ndr): già allora lui e Maria erano la mia famiglia in Italia; (pausa) comunque sono diventato insegnante di Amici senza che qualcuno mi avesse dato un incarico ufficiale, ma puntata dopo puntata; (ride) forse a Maria rodeva, perché avevo avuto ragione io.
Costanzo per lei.
Spesso mi guardava come fossi un tipo strano, ma è stato speciale: quando li raggiungevo al mare trovavo sempre politici, imprenditori, insomma persone importanti, con una cultura nettamente superiore alla mia. Io sono preparato nel mio settore e in quello sono un secchione, ma sul generale mi perdo. Ma quando ci sedevamo a tavola, Maurizio aveva la capacità di farmi sentire importante.
Come?
Portava la conversazione a un livello che coinvolgeva tutti.
Spesso i ballerini sono fissati con la disciplina.
Sta parlando con la persona sbagliata, preferisco divertirmi, preferisco vivere in una sala prove allegra.
Disciplina nell’allenamento.
Quando ballavo, sì. E lì ero un altro tipo di animale.
Che animali sono i ragazzi dei talent?
In genere dei cuccioli, ma il punto non sono solo i ragazzi che entrano nei talent, ma quelli che non passano le selezioni: spesso smettono di ballare o di affrontare il loro spirito artistico.
E quelli che passano le selezioni?
Dentro la scuola stabiliscono un rapporto molto familiare con Maria e tutto l’entourage, quindi sono serviti, coccolati, protetti; gli viene spiegato che la vita artistica non è sempre così. Quando escono dalla scuola sono comunque senza difese. E arriva lo choc.
La sua gavetta com’è stata?
Solo una? Come dicevo ho iniziato da ballerino classico, e non mi piaceva, volevo cantare e recitare; nel frattempo lavoravo da cameriere in un pub e ogni due ore dovevo mollare il grembiule, posare i bicchieri e inscenare uno spettacolo di mezz’ora dove finalmente affrontavo i successi di Broadway. Sono andato avanti due anni. Questa è stata la mia gavetta, che mi ha permesso di acquisire un repertorio che ancora oggi utilizzo.
Cavallo di battaglia?
My Way e Cabaret.
E se non l’ascoltavano?
Negli Stati Uniti c’è una cultura differente: quando ci esibivamo, tutti posavano la forchetta e mettevano da parte i rutti; (pausa) ai provini di Broadway non sono mai stato scartato.
Come li affrontava?
Sicuro di me stesso.
La sicurezza le è rimasta?
Su tanti piani della vita sono fragile, ma sul lavoro ho mantenuto quella sicurezza di un tempo, per questo sono andato via da Maria: dopo 18 anni di trasmissione avevo voglia di cambiare, di non fermarmi. Con lei che ripeteva: “Tu sei matto”. “No, sono bravo”. “Ti mancherò”. “Lo so”.
Piangeva.
Tanto, è stato come lasciare un amore (gli si strozza la voce, si ferma); poi mi ha fregato il Covid, mi sono fermato a lungo, tanto da convincermi che fosse l’ora della pensione.
Invece.
È arrivata la telefonata di Cannito e quando mi ha proposto Saranno Famosi stavo per svenire, non ci credevo. Così l’ho richiamato il giorno dopo: “Ho sognato la tua offerta o è reale?”. Lui rideva. “Ero io, cretino!”. Luciano è pazzesco, è un signore, non alza la voce e ascolta. E ha talento.
La prima volta che ha capito di essere famoso.
Negli anni 80, con Fantastico e Risatissima, avevamo creato la coppia Brian e Garrison, ed eravamo gettonati tanto da finire sulla prima pagina del Corriere; un giorno arriva dagli Stati Uniti la mamma di Brian e decidiamo di stupirla, di mostrarle i nostri traguardi; la portiamo in piazza San Babila e nel giro di mezz’ora siamo stati costretti a chiedere aiuto alla polizia: era tutto bloccato dai fan.
Si è spaventato.
E pure mortificato: non avevo ben chiaro chi eravamo.
E poi?
Abbiamo detto alcuni no e la nostra popolarità è sfumata.
Uno choc.
Ho capito quanto non è sano puntare sull’adorazione delle persone. Ho abbassato i toni della vita.
In tutto.
Anche quando stavo ad Amici ho cercato di comportarmi da signore, con garbo, e qualcuno mi ha criticato, anche parte del pubblico; (sorride) magari da quel pubblico che preferisce gli atteggiamenti della Celentano, una stronza per eccellenza (insegnante di Amicindr).
Da straniero in mezzo al mondo dello spettacolo, sarà stato soggetto a gaffe.
Sempre, ancora adesso: lavoro in televisione ma non la guardo, non sono mai a casa.
Quindi?
Non distinguo i cantanti emergenti, li confondo tutti; (pausa) l’altro giorno ho incontrato un tizio, mi ha salutato in maniera affettuosa, credevo fosse un fan. Poco dopo un amico mi guarda: “Hai visto chi era?”. “No”. “Scialpi!”. “Impossibile!”. Era lui; (pausa) ma quanto è cambiato? Irriconoscibile.
In questi anni è mai stato truffato da agenti o umanità varia?
Sempre! Oggi non ho l’agente; (ride) se da Maria avessi mandato qualcuno per trattare, poi mi avrebbe staccato le palle.
Nella vita che evita?
I funerali; (pausa) per il mio voglio una festa con tante luci, tante caramelle, allegria, come il mondo di Barbie e Ken.
A cosa ha rinunciato per la carriera?
(Sospira, si commuove) Alla famiglia; (altra pausa) la mia famiglia biologica non la vedo mai, da anni, le voglio bene, ma siamo lontani pure come esperienze di vita; mentre ho una famiglia scelta a partire da Maria (e continua con un elenco di nomi).
Lei chi è?
Una persona felice.