la Repubblica, 10 febbraio 2024
La vetrina americana
Le prossime elezioni americane (“un delinquente contro un anziano in declino”, secondo il politologo Larry Sabato) sono oggetto di desolati e allarmati commenti almeno da un paio d’anni. Il problema è perfettamente a fuoco, e non solamente per i politologi. Quello che sfugge è come sia possibile che niente e nessuno possa tentare di porre rimedio a una situazione di percepibile decadenza del sistema politico della Nazione più ricca, più armata, più culturalmente e politicamente influente al mondo.
Se l’alternativa è davvero tra un delinquente e un anziano in declino (comunque tra due vecchi maschi bianchi, come se non esistessero altre forme di vita che possano competere con i vecchi maschi bianchi), non sono i repubblicani e/o i democratici, è l’America ad apparire sfasata, sfinita, senza un’idea energica e speranzosa di se stessa; e tutto questo solo pochi anni dopo avere emozionato il mondo con il primo afroamericano alla Casa Bianca.
Ovviamente le società (l’economia, la vita quotidiana, il progredire e il regredire degli individui e delle comunità) hanno vita propria, e una dinamica propria. I popoli hanno dimostrato di saper sopravvivere anche nelle peggiori condizioni politiche. Alle dittature, alle guerre, ai collassi economici. Ma le istituzioni, a parte l’esercizio del potere, hanno una funzione di “vetrina”, di immagine, di rappresentanza morale che, soprattutto in una società ipermediatica come la nostra, ha un enorme impatto. E il prossimo novembre, comunque vada a finire, l’America sembrerà al mondo uno star system inceppato, e a trarne soddisfazione saranno i suoi nemici. Chi pensa che la democrazia sia un motore logoro, prossimo a spezzarsi, non può che essere entusiasta del derby Biden-Trump.