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 2024  febbraio 10 Sabato calendario

Memorie di un linguista

Giovanni Nencioni, all’epoca presidente dell’Accademia della Crusca, affidò nel 1983 le sue memorie di studioso della lingua ormai più che settantenne a un saggio intitolato Autodiacronia linguistica: un caso personale (in «Quaderni dell’Atlante lessicale toscano», 1 – 1983; Leo S. Olschki Editore). Con qualche primavera in più sulle spalle, ma con altrettanta tenerezza e ironia, due decenni dopo Tullio De Mauro rievocò la propria infanzia e giovinezza in due libri dal felice tono narrativo: Parole di giorni lontani e Parole di giorni un po’ meno lontani. Francesco Sabatini – come già aveva fatto qualche anno fa Luca Serianni nel suo Il sentimento della lingua – ha preferito affidare questo tipo di ricostruzione a un’intervista, realizzata in questo caso con la collaborazione della linguista Cristiana De Santis. «Il risultato», scrive la curatrice, «è un dialogo che interroga il nostro tempo attraverso la lingua: l’italiano accogliente di un italiano accogliente, che negli anni ha saputo rispondere ai tanti dubbi di lingua posti da un pubblico ampio e affezionato». E proprio Un italiano accogliente è il titolo con il quale il volume è appena uscito per il Mulino (casa editrice anche dei due volumi di De Mauro e di quello di Serianni).
Classe 1931, presidente onorario dell’Accademia della Crusca (che ha guidato tra il 2001 e il 2007), professore universitario (in cattedra dal 1957) e appassionato divulgatore, in questa autobiografia intellettuale Sabatini racconta oltre settant’anni di studi sulla nostra lingua e quasi un secolo di storia della cultura italiana. Trovandosi a passare dall’incontro con Benedetto Croce, che frequentava la sua casa paterna in Abruzzo, a quello con il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. La sua figura, ricorda, «è stata decisiva anche per la considerazione della nostra lingua come bene nazionale» e rievoca le parole che Ciampi pronunciò nella sede fiorentina della Crusca a proposito dell’«importanza di custodire, di studiare, di far conoscere la lingua italiana».
Capisaldi
Le ricerche sui testi delle origini, sull’«uso medio» E il primo dizionario edito su supporto elettronico
Tutte cose che Sabatini ha fatto in maniera instancabile, come emerge – tra ricordi, aneddoti e fotografie – dalle pagine di questo libro. Lo studio e la valorizzazione di testi antichi, tra cui la lettera in cui Boccaccio imita il dialetto napoletano o il graffito che si trova a Roma nella catacomba di Commodilla («Non dicere ille secrita abboce»). Un testo di circa un secolo precedente a quel placito capuano («Sao ko kelle terre …») tradizionalmente considerato l’atto di nascita della nostra lingua. Ma anche la descrizione, a metà anni Ottanta, di quello che lui stesso ha definito l’«italiano dell’uso medio». Un italiano in cui, come già voleva Manzoni, si può finalmente dire e scrivere lui invece di egli; un italiano moderno ed elastico, adatto alla comunicazione quotidiana. E poi il primo dizionario pubblicato anche su supporto elettronico (realizzato insieme a Vittorio Coletti: il Disc. Dizionario Italiano Sabatini-Coletti) e la grammatica dell’italiano secondo il modello valenziale («La valenza in questo caso è una metafora adottata per descrivere la capacità del verbo di legare a sé gli altri elementi necessari per formare una frase completa»). Da un’idea di Sabatini hanno preso vita anche la settimana della lingua italiana nel mondo, giunta ormai alla ventitreesima edizione, e il Dantedì che – promosso con la collaborazione di Paolo Di Stefano e del «Corriere della Sera» – dal 2020 si celebra ogni 25 marzo.
Tra i racconti più affascinanti c’è quello che riguarda la grande biblioteca di famiglia (oltre ventimila libri, tra cui anche codici medievali) trafugata dai nazisti che avevano occupato la sua casa di Pescocostanzo. Subito dopo la guerra, una lettera segnala la presenza dei libri all’Università di Magonza. Nel 1961, in occasione del suo viaggio di nozze, Sabatini va a controllare: ma dai cataloghi non risulta nulla. Trent’anni dopo, viene contattato da una studentessa che aveva lavorato alla catalogazione. «I libri erano stati recuperati dalle truppe di occupazione francese nella Selva Nera»; quando i francesi avevano ricostruito l’Università di Magonza, «erano stati poi consegnati alla biblioteca». Lunghe trattative consentono la restituzione: tra i libri superstiti, però, mancano i preziosi codici manoscritti. Se n’è salvato solo uno, che era stato prestato dal padre a uno studioso romano. È quel «Frammento Sabatini» che la famiglia – dopo esserne tornata in possesso – ha donato all’Abbazia di Montecassino: e lì è ora custodito, proprio assieme al placito capuano.