La Stampa, 10 febbraio 2024
La patata sale del 400%
«È quattro volte il prezzo a cui le vendo io...». Al reparto ortofrutta, davanti ai cesti di patate, anche uno del settore come Franco Cherubini un po’ si stupisce. Dal produttore, cioè lui, al consumatore, cioè i clienti di questo supermercato di Avezzano, cuore d’Abruzzo, il prezzo della gialla del Fucino è cresciuto del 400%. E pensare che la coltiva a poche centinaia di metri di distanza: nel grande lago prosciugato diventato una delle aree più vaste in Italia per la produzione di ortaggi, e la prima per i tuberi. Ma anche quando i chilometri tendono a zero, la filiera resta comunque lunga e complessa. Passaggi attraverso cui il prezzo a cui Cherubini ha venduto la scorsa estate il raccolto, 45 centesimi al chilo, lievita oggi alla cassa oltre un euro e 50, verso i due.
Attenzione: se in questo viaggio della patata cercate colpevoli, sfruttati e sfruttatori, non sarà Cherubini a indicarli. A 29 anni ha scelto «con orgoglio» di lavorare nell’azienda agricola di famiglia, 25 ettari a patate, finocchi, carote e insalata che racconta anche su Instagram, ma prima si è laureato in trade marketing, proprio quello di cui stiamo parlando. E nella legge del mercato alimentare non vede scandali, né è tra gli agricoltori che lamentano di non farcela, anche perché i cosiddetti “ortaggi in campo aperto” sono tra i prodotti i cui margini reggono meglio. I 45 centesimi dello scorso anno, spiega, sono valore altissimo, effetto del clima impazzito che ha funestato la produzione in Italia e in Europa, riducendo l’offerta. Peccato che anche nel Fucino la resa sia stata più che dimezzata, con il risultato che il profitto per lui è rimasto lo stesso, due centesimi al chilo.
È la partenza del viaggio, che porta le patate dai campi di Cherubini a quelli che chiama «distributori». Ce ne sono di locali come Torti (motto: “Patate da amare”), che proprio qui a bordo piana ha due grandi magazzini rossi. Ed altri nazionali come Ruggiero (“La famiglia delle patate”). Mettono i tuberi nelle celle frigorifere per evitare che germoglino, tenerli lì costa 2 centesimi al chilo ogni mese. Poi li tirano fuori nei mesi successivi, le selezionano – solo quelli tra 45 e 70 millimetri sono commerciabili – li ripuliscono, impacchettano e spediscono in tutta Italia, vicino e lontano. Alle domande sui loro affari non rispondono, ma chi conosce il settore stima un costo sui 60 centesimi al chilo, compresi i margini.
Così quando rivendono la patata, ai supermercati della grande distribuzione o altri negozi, magari attraverso intermediari, il prezzo è già più che raddoppiato, sopra l’euro edieci. Ma la Gdo ha ancora i suoi costi da scaricarci sopra, non pochi: trasporto al punto vendita, energia, personale, investimenti da ammortizzare. «Fatto cento il prezzo finale, il rapporto è 30-40 in campo, 30-40 nei passaggi intermedi e 30 alla vendita», spiega il responsabile di una grande insegna italiana. Anche se, visti prezzi finali vicini due euro, da qualche parte del viaggio qualche ricarico extra si infila.
«Se il sistema è caratterizzato da un eccessivo nume ro di operatori, asimmetrie dovute al diverso potere contrattuale e una bassa competitività generano inefficienze che vanno a danno del consumatore e degli anelli più deboli», si legge in un rapporto Ismea, ente dei servizi per il mercato alimentare. Calcola che su cento euro di spesa, agli agricoltori restano solo 6 euro di risultato operativo per i prodotti freschi, e 2 per quelli trasformati dove di mezzo c’è anche l’industria alimentare. Che l’anello più debole siano gli agricoltori, spesso piccoli in un mercato dove la distribuzione vive di grandi volumi, lo suggerisce anche Cherubini. Racconta dei costi esplosi, il gasolio, i semi, l’affitto dei campi. E di un prezzo legato a tante imponderabili, più subìto che pianificato: quattro anni fa era a 15 cent, in perdita, poi 27, quindi 45 con metà raccolto. Il profitto c’è, ma di fatto è quello del lavoro extra che lui e suo padre fanno in campo: presto si semina e di notte faranno i turni per irrigare.
Le soluzioni ipotizzate per rendere il viaggio della patata – e non solo più sostenibile sono varie quanto il mondo agricolo italiano. C’è chi difende il piccolo e pulito, con un prezzo giusto da assicurare per legge. Chi punta alle aggregazioni di varia forma, ricordando che 4mila produttori trentini, con un ettarino a testa, vendono alla grande le loro mele con un marchio solo, Melinda. Quasi tutti ragionano su filiere da compattare. Cherubini, in linea con l’associazione a cui è iscritto, Confagricoltura, parla di crescita e investimenti. Per questo, anche se non è tipo da trattore in tangenziale, critica le politiche ambientali che impongono agli agricoltori meno produzione e scaricano solo su di loro gli oneri. «Gli sconti sul gasolio andranno tolti? Posso essere d’accordo, ma visto che è il costo più grande e i trattori elettrici non esistono bisognerà spiegare che le patate costeranno di più». Già, nel viaggio dei tuberi l’ultima tappa sono le nostre tavole. Quanto siamo disposti a pagare per un’agricoltura sostenibile?