La Stampa, 10 febbraio 2024
Intervista a Candace Bushnell
Migliaia di ragazze pronte a passare «a girl’s night out», una serata fuori per sole ragazze, con la ragazza che ha creato Sex and the City: Candace Bushnell. A Londra, davanti al teatro tutto esaurito per la serata, la fila è fatta quasi tutta di donne. È passato ormai più di un quarto di secolo da quel 6 giugno 1988 in cui la prima puntata di una delle serie televisive più famose di sempre è andata in onda sulla rete americana Hbo, prima di conquistare il mondo intero, ma il suo successo non accenna a cdiminuire. Diverse generazioni di donne continuano a emozionarsi di fronte alle avventure amorose di Carrie Bradshaw e delle sue amiche Miranda, Charlotte e Samantha, in una New York in continuo cambiamento. E quelle stesse donne si sono ritrovate a teatro nella capitale inglese, qualcuna indossando scarpe, borse e accessori che potevano ricordare quelli indossati dalle loro beniamine in qualche puntata della serie, per sentirsi raccontare The true tale of sex, success and Sex and the City, ovvero la vera storia di sesso, successo e Sex and the City che ha vissuto colei che lo ha generato. Si tratta di uno spettacolo che arriverà anche in Italia, il 21 febbraio a Milano agli Arcimboldi e il 23 a Trieste al Politeama Rossetti, e che vede in scena proprio lei, la ragazza che, con la sua rubrica sul New York Observer, raccontava la città in cui ha scelto di vivere a 19 anni.Candace Bushnell, scrittrice, giornalista e autrice, oggi ha 65 anni e domina il palco, con la sua energia dirompente e su delle Manolo Blahnik gioiello. «Le donne oggi guardano al mondo in un modo diverso, ma quando ero giovane tutti quegli insegnamenti relativi al mondo femminile che continuavo a sentirmi ripetere non mi appartenevano – racconta Bushnell – anzi, pensavo fossero sbagliati. Volevo fare qualcosa ma non sapevo ancora cosa e soprattutto come avrei potuto farlo. Eppure la vita e il destino hanno saputo mettermi sulla strada giusta».Secondo lei le donne sanno gestire il potere o diventano, come pensa qualcuno, troppo dure nei rapporti con i loro subordinati?«Io credo che ormai siano tantissime le donne che hanno posizioni importanti, soprattutto nel mondo televisivo e ho lavorato con molte di loro, trovandomi molto bene. Abbiamo realizzato una serie tratta da un altro mio romanzo, intitolata Lipstick Jungle, con un gruppo tutto al femminile ed è stata una bellissima esperienza. Quando invece ce ne sono solo una o due al vertice, e si abituano ad essere le uniche, la situazione può rivelarsi meno facile, però se il numero aumenta, tutto cambia in modo radicale e lavorare con loro diventa piacevolissimo».Che effetto fa girare il mondo con questo spettacolo, incontrando pubblici che dimostrano una passione enorme nei confronti di quello che ha scritto?«È bellissimo e posso ammettere che non me l’aspettavo. Di solito scrivo libri e non vedo molta gente, tutto questo calore mi sta travolgendo. Un’altra cosa che mi inorgoglisce è il fatto che Sex and the City ha fan di tutte le età e mi piace sapere che ci sono madri e figlie che scelgono di venire insieme a vedere lo spettacolo».Si aspettava tutto questo successo?«A essere sincera ho sempre pensato che avrei fatto qualcosa di importante, magari anche vinto un Pulitzer».Nel suo ultimo libro “Sex in the city…e adesso”? come nel suo spettacolo, lei indaga sulle donne di una fascia d’età più matura. Come ha deciso questa svolta?«Perché la vita continua anche dopo i cinquant’anni e può essere vibrante e piena di esperienze, oltre che offrire nuove occasioni per uscire con gli uomini. È importante parlare di quello che succede a questa età sia per condividerlo con coloro che la hanno raggiunta, sia per potere fare capire alle giovani che ci sono ancora tantissime opportunità e sfide da cogliere. Inizialmente, quando ho pensato di fare questo spettacolo pensavo che il titolo dovesse essere lo stesso, ma poi un amico mi ha fatto notare che sarebbe stato riduttivo visto che io parlo delle origini di Sex and the City ma anche di me stessa e delle mie storie d’amore, compresa quella con il vero Mr. Big e ovviamente delle mie amiche, con cui continuo a condividere la mia vita, come facevo da giovanissima».La passione per le scarpe è sua o di Carrie, il suo alter ego?«È mia, ma lei ne ha molte di più. Una cosa che non mi sarei aspettata è che in questo Sex and the City si è rivelato un format in grado di influenzare molte persone. Qualsiasi cosa indossassero le protagoniste veniva poi cercato nei negozi dalle fan. Carrie sarebbe stata un’influencer se fosse stata creata dopo. Va aggiunto però che quando sono arrivata a New York avere delle belle scarpe era molto importante. In alcuni locali non si riusciva a entrare se non si calzava qualcosa di particolare. Ricordo che ai tempi erano molto amate quelle di Gucci e io le ho desiderate per molto tempo».Tra gli stilisti italiani ce n’è qualcuno che preferisce?«Sono talmente tanti e straordinari che è difficile operare una scelta, ma in svariate occasioni ho preso delle cose di Dolce e Gabbana».Nei suoi primi anni nella Grande Mela lei ha frequentato anche il famoso Studio 54, la discoteca simbolo della fine degli anni ‘70, in cui si ritrovavano spesso anche le celebrità. Cosa si ricorda di quel luogo?«Era un posto ruvido, spaventoso e divertente, pieno di creatività. Non c’erano tanti soldi allora ma ci giravano tanti stilisti, artisti e scrittori. Erano tutti agli inizi della loro carriera. Mi ricordo che i giovani stilisti vivevano in piccolissimi appartamenti in cui cucivano anche le loro creazioni. La città allora era il posto in cui andare per potere inseguire le proprie passioni artistiche senza avere nulla da perdere. Era costosa, ma di certo lo era molto meno di quanto non lo sia ora».Dopo questa esperienza su un palco cosa farà?«Nonostante mi piaccia recitare amo scrivere e mi sento bene quando lo faccio».Qual è il messaggio che le piacerebbe che venisse ricevuto dalle donne di oggi?«Per me è importante continuare a mettere un pizzico di divertimento non solo nelle cose che facciamo ma anche nelle relazioni che viviamo. Vorrei spronare tutte a essere loro stesse il loro Mr. Big». —