La Stampa, 10 febbraio 2024
Per uscire dalla logica del sussidio adesso servono le idee dei giovani
Un uccellino che ha paura di volare e rimane chiuso nel suo nido; un autoveicolo con le marce che non “ingranano”, per cui il motore romba ma non riesce ad andare avanti; un natante il cui equipaggio non è in grado di governare le vele e che quindi non può sfruttare il vento. Le metafore possono essere tante ma la situazione che descrivono è sempre fondamentalmente la stessa: quella dell’economia italiana, riconfermata dall’analisi dei dati sulla produzione industriale di dicembre, diffusi ieri dall’Istat. L’indice destagionalizzato è aumentato dell’1,1 per cento rispetto a novembre ma il 2023 si chiude con una diminuzione della produzione industriale del 2,5 per cento rispetto all’anno precedente.
Esaminando la politica non solo dell’attuale governo, ma anche di quelli che l’hanno preceduto negli ultimi due decenni, si giunge alla conclusione che l’Italia non riesce ad andare oltre quella che potremmo chiamare la “logica del sussidio”. In base a questa logica, i sostegni pubblici possono essere modificati, ridotti, estesi ma il loro obiettivo è sempre, in un modo o nell’altro, la continuazione del passato – spesso abbellito fortemente nel ricordo – e sulla base di questa continuazione viene di fatto misurato il successo di una manovra economica o di una politica economica da qualunque parte dello spettro politico la si guardi.
In realtà, siamo immersi in un mondo in cui tutto sta cambiando e la sopravvivenza economica di un paese, per non parlare della sua crescita, non può consistere soltanto nel galleggiamento. Siccome il mondo politico non si dimostra particolarmente attratto dall’idea di farsi paladino di questo cambiamento del modo di pensare, dovrebbe forse essere la “società civile” a stimolare un dibattito in questa direzione. E la prima sollecitazione potrebbe essere quella di suggerire ai politici di passare nell’utilizzazione delle risorse – soprattutto le scarsissime risorse nuove – dal sussidio allo stimolo, dalla conservazione all’innovazione.
In altre parole, la priorità non dovrebbe essere data alla sopravvivenza di una piccola officina o di un piccolo negozio ma piuttosto a una collaborazione sempre più stretta, a cominciare dagli acquisti e dalle vendite, fino ad arrivare alla fusione, di diverse piccole officine e diversi piccoli negozi i quali possano così diventare più efficienti nella gestione, magari ideando e sperimentando qualcosa di nuovo.
In questa apertura verso “il nuovo”, si dovrebbe trovare il modo di finanziare progetti di giovani nei campi più diversi, magari con strumenti finanziari innovativi, sostenuti da agevolazioni fiscali. E bisognerebbe riflettere sulle molte innovazioni “spontanee” effettuate in Italia soprattutto da imprese medie della meccanica – ma anche, tra l’altro, nell’agricoltura – per merito proprio imprenditori giovani i quali si sono subito rivolti, là dove possibile, ai mercati europei e mondiali, anche quando questo risultava particolarmente difficile.
La controprova della necessità di un vigoroso movimento in queste direzioni è data dall’emigrazione di giovani preparati verso altri Paesi dell’Unione Europea e anche al di fuori di essa: non è soltanto nel calcio che chi sta fermo non segna. E rischia così di passare dalla Serie A alla Serie B