il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2024
Renato Pozzetto: “La vita l’è bela… Ma sono al mio ultimo rettilineo”
“Taac!”: Renato Pozzetto approda in libreria con la sua autobiografia. “Non mi pare di aver mai ostentato il fatto di essere diventato un attore celebre. Ho sempre avuto difficoltà nel firmare autografi”. Così scrive nel suo Ne uccide più la gola che la sciarpa. Un volume targato Rizzoli che, pur condito con umorismo surreale, scivola nella malinconia quando il comico oggi 83enne confessa di sentirsi sul “rettilineo d’arrivo”. Del resto vive la sua condizione di vedovo – la moglie Brunella è morta nel 2009 – con lo stesso struggimento dell’anziano farmacista interpretato tre anni fa in Lei mi parla ancora di Pupi Avati. Trascinanti le pagine consacrate alla carriera ma è il racconto di Pozzetto prima di Pozzetto, lo spaccato di vita prima della fama, a rendere preziosa la sua testimonianza.
Ecco un bambino milanese, classe 1940, ultimo di quattro fratelli, che per sfuggire ai bombardamenti ripara con la famiglia sul Lago Maggiore. È qui che stringe amicizia con Aurelio Ponzoni, detto Cochi, col quale condividerà un lungo sodalizio artistico. Dopo la guerra entrambi tornano a Milano. Renato con la famiglia vive nelle case popolari del quartiere Stadera, estrema periferia Sud. Frequenta poi un Istituto tecnico per geometri e il suo primo impiego è vendere canne fumarie in un ufficio del centro. Spesso transita per via Montenapoleone: “In quanto povero in canna mi piaceva andare a spiare i negozi di lusso per sognare un po’”. Compra una Fiat 500 a rate con le cambiali garantite dal padre. La vita mondana è all’insegna di una discoteca in San Babila dove conosce una giovanissima Mariangela Melato, che ritroverà come partner nel film La poliziotta del 1974.
Il duo comico Cochi e Renato si esibisce con un repertorio di canzoni della tradizione popolare nelle osterie e nei circoli operai. Alla mitica Magolfa familiarizza con i personaggi della mala. All’osteria L’Oca d’Oro, di proprietà di un ex pugile anarchico, “ci mettevano su un biliardo e noi cantavamo quelle canzoni di libertà e di lavoro”. Quando accanto al locale apre i battenti La Muffola, una galleria d’arte notturna, Pozzetto conosce artisti come Lucio Fontana e Piero Manzoni, che un giorno lo invita nella sua casa di Brera per aiutarlo a comporre una delle sue Linee con una bobina sottratta a una rotativa. Al momento del vernissage lui e Cochi suonavano e cantavano. Un posto frequentato da Jannacci, Fo, Gaber. “C’era quell’aria, quell’energia potentissima, una vocazione trasgressiva… Fontana tagliava le tele, Manzoni inscatolava la merda, Jannacci cantava Il cane con i capelli”. La coppia Cochi-Renatao affina il talento al Cab’ 64, un cabaret che annoverava anche Bruno Lauzi e Lino Toffolo e dove Franco Battiato vi trascorreva la notte perché non aveva un posto dove dormire. In seguito Jannacci propizia a Cochi e Renato il palco del Derby dove vengono scoperti e portati in tivù da Enrico Vaime a Quelli della domenica nel 1967. I primi anni 70 sono gli anni della consacrazione. La loro sigla finale di Canzonissima, E la vita, la vita, raggiunge la vetta della hit parade. Recitano persino una commedia di Ennio Flaiano al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Poi per Pozzetto comincia la carriera “solista” sul grande schermo che lo rende uno dei protagonisti della nuova commedia all’italiana. Il film che viene più ricordato è Il ragazzo di campagna del 1984, regia di Castellano e Pipolo. La storia del contadino Artemio che approda a Milano a bordo di un trattore conta cento milioni di visualizzazioni tra sale cinematografiche, passaggi tivù e visite in rete. Tra i tanti esilaranti aneddoti quando sul set de La patata bollente si ritrovò in una pausa costretto a nascondere un’erezione dopo una scena in vasca con Edwige Fenech con un elettricista pronto a gridargli: “A Pozzè, guadagnerai qualche lira, ma fai ‘na vitaccia!”. O quando, per evitare che un gatto potesse danneggiare la capote della sua Rolls Royce, il custode di una villa con piscina che aveva affittato a Roma, decise di avvelenare l’animale. Salvo poi scoprire che era il gatto nientemeno che di De Niro, in quei giorni impegnato sul set a Cinecittà di C’era una volta in America. Una biografia tanto ricca di eventi e di personaggi che vale la pena compendiare con un sonoro “La vita l’è bela”.