la Repubblica, 9 febbraio 2024
C’eraunavolta lo Yemen di Pasolini
La prima cosa che appare, perché ogni immagine ha natura di apparizione in questo documentario di Pasolini girato a Sana’a il 18 ottobre 1970, è uno spaventapasseri in carne e ossa, che da un trespolo in mezzo al campo fa schioccare la frusta e impedisce agli uccelli di mangiarsi il raccolto. Poi si passa alle immagini degli operai-bambini lungo la strada cinese, a quelle dei suonatori di tamburello, e infine si oltrepassano i bastioni della città – Le mura di Sana’a s’intitola il cortometraggio – e ci si inoltra seguendo la macchina da presa tra i suoi grattacieli di creta immerlettati, ancora immersi nel Medioevo, di una bellezza «intatta» ed «eccessiva», dove Pasolini ha appena girato Il Decameron e tornerà più avanti a girare Il fiore delle Mille e una notte.
La sua voce fuori campo è persino più struggente delle immagini, specie per noi che oggi sappiamo che lo Yemen non si è salvato. Pasolini aveva sperato che «la distruzione dell’antico», ossia «dell’unico mondo reale», avesse potuto risparmiarlo, aveva creduto in un destino diverso per quel popolo così povero e così puro... E invece nei cinquant’anni successivi quella sua invocazione, noi quel Paese lo abbiamo visto sprofondare nelle guerre civili e nella più grande catastrofe umanitaria della contemporaneità, e oggi lo ritroviamo in cima all’agenda internazionale a causa dei ribelli Houti, schierati con l’Iran e con Hamas contro Israele, i cui attacchi alla libera navigazione nel mar Rosso stanno provocando al commercio globale più danni del Covid. Le immagini della cronaca di questi giorni stridono con i fotogrammi di Pasolini, si fa fatica a pensare che si tratti dello stesso paese. Come immaginare che quello spaventapasseri, quegli operai- bambini e quei suonatori di tamburello si siano in pochi anni reincarnati in guerriglieri ipermoderni, che usano missili, droni e armi sofisticate, capaci di compiere attacchi navali degni dei Navy Seals, scatenare la potenza di fuoco anglo-americana e spingere l’Europa a concepire una missione navale? Come immaginare che quel Paese fuori dal tempo e dimenticato da tutti, abbia improvvisamente messo in pericolo il traffico marittimo nel Mar Rosso, dove transitano oltre 20 mila navi l’anno, ovvero il 30 per cento dei container spediti via mare e il 12 per cento del commercio mondiale?
Per capire come si è arrivati aquesto punto, e le ragioni profonde del fenomeno houti, bisogna partire dal colpo di stato del 1962, con cui viene rovesciato l’imamato zaidista che governava il paese da mille anni. Sono i repubblicani aiutati da Nasser a rimettere in moto lo Yemen, a farlo uscire dal Medioevo. Ma senza mai riuscire a conquistare i cuori dei lealisti del nord, nelle roccaforti attorno a Saada.Una faida sanguinosa, durata per tutti gli anni Sessanta e mai estinta del tutto. Che difatti riemerge come un fiume carsico nel XXI secolo, nella forma di uno scontro all’ultimo sangue tra il governo del sud, riconosciuto internazionalmente e sostenuto da emiratini e sauditi, e i ribelli Houti del nord che oggi controllano Sana’a, “eredi” dell’imamato, finiti nelle braccia iraniane più per scelta di comodo e bilanciamento geopolitico che per appartenenza alla famiglia sciita.
Gli Houti sono dunque un movimento moderno con radici nell’antico, che prende vigore dopo la riunificazione del 1990. Il fondatore Husayn Al Houti ha uno status sociale superiore, non è di estrazione tribale, è figlio della tradizione elitaria. Il suo è un programma di rinascita zaidista, branca sciita diversa dai duodecimani iraniani, con un pantheon che contiene di tutto, anche modelli distanti tra essi. Legami con Qom in Iran, Najaf in Iraq, con la Fratellanza Musulmana, reticoli in Libano e Sudan. Un pensiero aperto alle contaminazioni, dogmatico e insieme sincretico, basato su insegnamenti coranici orali, raccolti nei “fascicoli”, che l’attuale capo del movimento Abdel Malek Al Houti trasformerà in pensiero militante in senso politico.
La loro, in origine, è un’agenda locale, in favore della gente del nord contro il nepostismo del governo centrale e il carovita. È dopo l’attacco alle Torri Gemelle che viene coniato lo slogan antiamericano, antisemita e antisionista, e il movimento cambia, si fa rivoluzionario, si emancipa da un passato legato all’imamato e sfrutta il contesto internazionale. Solo negli anni recenti c’è stata dunque la mutazione, favorita dall’abilità iraniana di cooptare minoranze da utilizzare di volta in volta per i suoi fini. Per questo si parla di burattini Houti nelle mani di Teheran. Di un Iran che sa far leva su elementi irrazionali, settari e ancestrali, per costruire una resistenza armata – Hezbollah, Hamas, Jihad islamica e Houti – capace di sfidare gli imperi militari e tecnologici occidentali, a partire da quello americano e israeliano.
Ma lo Yemen, è bene ripeterlo, avrebbe di per sé ben poco a che vedere con l’antisionismo o la causa palestinese, e in questo tritacarne della geopolitica che mischia tutto, che annulla i miti, le tradizioni, e adesso lo catapulta al centro del palcoscenico internazionale, c’è finito per un mezzo accidente della storia: per colpa di un movimento minoritario – gli Houti – che a un certo punto è mutato, si è fatto corrompere dall’esterno, e ha brutalizzato a sua volta quello spaventapasseri, quegli operai-bambini e quei suonatori di tamburello – di cui Pasolini immortalava gli ultimi sussulti di vita reale – per trasformarli nei tecnoterroristi globali che non sarebbero mai stati nel loro reame semi-fiabesco.
Resta da capire la cosa più importante: quand’è che un popolo distrugge l’antico e diventa altro da sé. Quand’è stato il momento preciso in cui lo Yemen ha perduto l’innocenza. Uno storico forse risponderebbe che è stato il golpe del 1962, e che i germi del male venuto dopo sono già tutti in quello scontro tra Lealisti e Repubblicani. Un analista politico forse direbbe che il paese è precipitato nel baratro dopo le “primavere”, quando ha permesso che la partita regionale tra sauditi e iraniani si giocasse anche sulla sua pelle. Per il poeta Pasolini, che vede in senso profetico, la fine dell’innocenza ha coinciso con la distruzione delle immense mura di Sana’a, ormai invisibili, sui cui spalti, al tempo delle Mille e una notte, potevano passare appaiati sei cavalli al galoppo...