Corriere della Sera, 9 febbraio 2024
La Cina non è in grado di diventare egemone
Capita spesso, nei dibattiti che riguardano le guerre e lo straordinario disordine del mondo, di sentir dire che servirebbe una nuova Bretton Woods. Un patto tra le maggiori potenze per organizzare un sistema di norme, di istituzioni, di strumenti, adeguato ai tempi, capace di mettere ordine. Come avvenne nel New Hampshire verso la fine della Seconda guerra mondiale. Illusione. Non solo perché un nuovo equilibrio internazionale in qualche modo condiviso (più precisamente imposto da alcuni e subito da altri) si può immaginare solo alla fine di uno scontro, armato o meno che sia. Ma anche perché «l’ordine mondiale non è mai esistito: non è mai stato un ordine e non è mai stato mondiale», scrive Manlio Graziano.
L’affermazione può sembrare bizzarra a un europeo vissuto nel dopoguerra. L’era del confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica aveva una sua apparente stabilità, per quanto gelida. E così ci era sembrata quella successiva, unipolare, egemonizzata da Washington e dalle regole americane.
In un libro appena pubblicato, Graziano smonta questa lettura «superficiale», soprattutto traccia un quadro del movimento delle relazioni internazionali fondato su una visione lunga degli eventi. Si intitola Disordine mondiale. Perché viviamo in un’epoca di crescente caos (Mondadori): se il ritorno della geopolitica sta determinando il carattere dei nostri tempi, il libro è una sistemazione storico-teorica e allo stesso tempo una spiegazione di che cosa la geopolitica è. Un modo di leggere il mondo, i rapporti tra Stati e la loro evoluzione non universalmente condiviso ma certamente potente.
Se capire l’era della globalizzazione richiedeva un minimo di nozioni economiche, l’epoca che abbiamo imboccato non pretende uno sforzo minore. I cartamodelli geopolitici sui quali l’analista cerca «una migliore comprensione della realtà in cui viviamo» sono complessi. E affascinanti.
Graziano, che si definisce analista geopolitico, tra le altre attività insegna alle parigine Sciences Po e Sorbona. Il libro è uno studio storico dei rapporti tra potenze e delle strategie che esse hanno elaborato e messo in opera per conquistare un’egemonia e poi mantenerla: dalla guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta al confronto in corso tra Stati Uniti e Cina. Anche quando una potenza è dominante – spiega Graziano – l’ordine che impone agli altri (alleati o meno) è instabile in quanto il ritmo di sviluppo suo e di altre grandi nazioni è ineguale e cambia i rapporti di forza. In ragione di queste differenze di crescita, gli equilibri evolvono: chi domina perde forza rispetto a chi emerge, dunque prima o poi l’ordine «è destinato a trasformarsi in disordine».
Non è qualcosa di astratto: quando un Paese cresce e cresce, come per esempio oggi la Cina, accumula una capacità produttiva e una forza finanziaria che non possono essere utilizzate al proprio interno per mancanza di opportunità; dunque, deve proiettarsi fuori dai confini. È una delle basi dell’imperialismo ed è all’origine delle destabilizzazioni dell’ordine mondiale.
In questa lettura, la fine dei conflitti e la pace universale sono inimmaginabili: la difesa e la promozione degli interessi di un Paese prevalgono su ogni illusione di accordi definitivi.
Sì, dopo i grandi conflitti la tendenza è sempre quella di cercare un ordine mondiale: Graziano cita la der des ders (la dernière des dernières, l’ultima delle ultime), la Grande guerra 1914-18 che avrebbe dovuto fare finire tutti i conflitti armati, data la devastazione che aveva provocato. Non è stato così. E un equilibrio stabile non era stato raggiunto dopo la pace di Westfalia del 1648, dopo la guerra dei Trent’anni, considerata il primo tentativo di ordine mondiale. Lo stesso è vero per il Congresso di Vienna alla fine dell’era napoleonica, oltre che per il trattato di Versailles del 1919. Nemmeno la pace dopo il 1945 e la fine della guerra fredda hanno creato un ordine definitivo. Non ci può essere.
Graziano tratta questi eventi con lucidità nella cornice dell’analista geopolitico. E in molti casi può sorprendere: per esempio nella lettura del rapporto tra Stati Uniti e Gran Bretagna, visti più come rivali strategici che come alleati della sfera anglofona.
Arrivando ai giorni nostri, studia il declino relativo dell’egemonia degli Stati Uniti e l’emergere della Cina. Chiarisce che tra le due potenze non è in corso una nuova guerra fredda: la realtà del confronto è diversa da quella che ci fu tra Washington e Mosca. Se però gli americani la tratteranno allo stesso modo, la relazione rischierà di diventare una guerra calda – dice l’analista. In ogni caso, «la Cina non ha nessuna possibilità di dar vita a un ordine nuovo»: non ha legittimità interna, non ha affidabilità internazionale, non può convincere con le buone maniere i rivali «a rinunciare ai propri interessi». Rischi significativi. Tra la potenza dominante e quella emergente, però, nessuna Bretton Woods è in vista: al momento, è il disordine il vero egemone.