Corriere della Sera, 9 febbraio 2024
Biografia di Sefano Bandecchi
C’è sempre, in redazione, un collega che ti vuole più bene degli altri.
«Te l’ho già detto una volta: occhio con Bandecchi, è un tipo manesco». Vabbè, dai. «No vabbè dai: guarda che se scrivi qualcosa che non gli piace, quello è capacissimo di venirti ad aspettare sotto al giornale...».
Si parte un filo prudenti, a dimissioni ancora calde, misteriose. «Lascio per ragioni politiche». Solo politiche? C’è un breve video pubblicato su Instagram. C’è questa sua smorfia, una via di mezzo tra un sorriso di scherno e un ghigno di minaccia. Più, soffiata, la solita insolenza nei confronti dei giornali che però in realtà adora, s’è capito che gli piace troppo finire in un bel titolo al Bandecchi Stefano di anni 62, ormai forse ex sindaco di Terni, un livornese con un cospicuo patrimonio personale (nel 2006 fondò UniCusano, ateneo telematico) e 114 chili di muscoli dichiarati e trattenuti a stento dai vigili urbani nelle risse che scatenava in consiglio comunale, luogo designato per le sue provocazioni, tra bieco sessismo e lampi di sfrenata demagogia destrorsa, la miccia per le sue ambizioni più efferate. «Prima o poi entrerò a Palazzo Chigi come premier», ripeteva sfrontato, sfoggiando una spericolata abitudine alle vertigini, e del resto è un ex parà della Folgore.
A certi della Folgore, ogni tanto, scatta una molla. E dopo essersi buttati dalle nuvole, sentono di doversi buttare in politica. Solo che Bandecchi, a differenza del generale Roberto Vannacci, che ancora cincischia, è già un pezzo avanti e progetta in grande. Con Alternativa popolare («Il partito fondato da Angelino Alfano e da me resuscitato») ha o avrebbe intenzione di presentarsi come capolista in tutte le circoscrizioni alle prossime elezioni europee. Baldanzoso, s’è pure permesso di offrire una candidatura a Vittorio Sgarbi.
Però con tipi così Vittorione non si mischia. Un po’ anche perché questi ex militari li vedi arrivare con l’aria burbera, tutto ordine e mascella volitiva, e la domanda è sempre la stessa: sarete per caso fascisti? Bandecchi è pure pelato. E risponde: «Mio padre era un camionista comunista, mia madre una massaia. No, mai indossata una camicia nera». Però i modi sono un po’ quelli: a Terni ne hanno chiesto le dimissioni non solo dai banchi dell’opposizione dem, ma pure la Lega e Fratelli d’Italia (lo scorso 28 agosto, in aula, a Palazzo Spada, aggredì il meloniano Marco Celestino Cecconi: «Ti faccio ingoiare tutti i denti!»). Gira voce che persino i suoi di Alternativa, esausti e preoccupati, stessero preparandogli un trappolone, per farlo cadere. Lui, con eleganza, adesso ammette: «Mi dimetto anche perché alcuni esponenti del mio partito m’hanno fatto girare le palle».
Si scrive mentre il cellulare continua a squillare. Anime pie che chiamano dall’Umbria. «Non dimenticarti di quando sputò ai tifosi della Ternana, società di cui era presidente, e delle inchieste che lo inseguono...». Perché il suo impero scricchiola.
Certo: l’ultimo reddito dichiarato prima di essere eletto sindaco era di quattro milioni d’euro. Più una Ferrari e una Rolls Royce in garage, più uno yacht di 55 metri ancorato in località segreta. Però poi la Procura di Roma gli ha sequestrato 22 milioni di euro e ha cominciato ad indagare ipotizzando «evasione fiscale, appropriazione indebita, distrazione di fondi»: nel mirino, la sua università Nicolò Cusano. «Ma io non devo nascondermi. Ho sempre fatto tutto alla luce del sole. Finanziando pure un sacco di gente: da Di Maio ad Alemanno». Pausa. «E la mia università, sia chiaro, è un’eccellenza. Il ministro Lollobrigida si è laureato con me, non so se avete capito...» (no no, abbiamo capito).
Frugando nel web, alla voce Bandecchi: tiri fuori melma e dichiarazioni allucinate. Una mattina, ad Agorà, su Rai3, polemizza con una deputata grillina, Anna Laura Orrico. Diverse vedute. E lui: «La signora va abbattuta». Pochi giorni dopo, in consiglio comunale, si parla della «violenza di genere». Interviene e spiega: «Diciamoci la verità: un uomo normale guarda il culo di una bella donna e, forse, ci prova anche. Poi, se ci riesce, se la tromba pure». È recidivo. Da Cruciani&Parenzo, alla Zanzara, spiegò: «Mi danno fastidio le donne che denunciano le violenze sette mesi dopo, oggi devi aver paura anche solo di fare un complimento a una ragazza». E tutte le risse in aula? «Le parole fanno più male delle botte. E se uno mi insulta e mi dice “buffone” più volte, per me si merita anche una testata...». Il sospetto è forte: sicuro non sia fascista, signor Bandecchi? Allora si apre un po’: «Non so se avrei fatto la Marcia su Roma... Però se fossi vissuto in quell’epoca, beh, sì, sarei stato un fascista della prim’ora. Perché Mussolini ha fatto anche cose giuste. Le bonifiche furono entusiasmanti, aiutava le persone bisognose, la sanità era per tutti, e poi costruì l’Eur, mi piace molto l’Eur. Sì, sarei stato fascista fino alle leggi razziali, che mi fanno schifo».
Sono tempi un po’ così. Di nuvole nerastre.