la Repubblica, 7 febbraio 2024
L’eredità di Alighiero Boetti è tutta un gioco
Cosa fare di quanto ci viene tramandato è un problema che il nostro onnivoro presente sbriga avocando a sé quanto può travestirne coi panni di un’attualità onoraria e consegnando il resto alla più retorica concezione della memoria. Ciò che non è più considerato direttamente emozionante viene ridotto a nozione di cui – se non gli ormai poco utili eruditi – sarà ChatGpt o un analogo a farsi qualcosa. Qua e là il problema trova però anche soluzioni assai più brillanti, ed è il caso di Alighiero Boetti, l’artista scomparso cinquantaquattrenne trent’anni fa.
Le tecniche che Boetti ha ideato e sperimentato (in linea con il motto: “Fatti le tue regole”) spesso lo hanno portato a devolvere ad altre mani l’esecuzione dei propri lavori, a cui assegnava lo statuto ibrido di “ononimi”, cioè anonimi e omonimi. Tutti Boetti e nessuno Boetti: una nozione di autorialità che non facilita certo il compito di chi ora deve delimitare il perimetro della sua opera e soprattutto escluderne i molti falsi che un mercato discretamente impazzito fa generare come funghi un sottobosco ubertoso. È quindi in corso, da parte dell’Archivio a lui intitolato uno scrupoloso lavoro di certificazione e quindi di catalogazione (proprio in questi giorni la casa editrice Electa ha pubblicato i due ultimi volumi del terzo e penultimo tomo del catalogo generale). Fra gli eredi si applica a questi compiti soprattutto Agata, la seconda dei tre figli di Boetti, la quale però non si accontenta di erigere la fortezza filologica di una pur necessaria opera omnia. Boetti è l’artista che da giovane aveva programmato di inviarsi telegrammi a distanze di tempo crescenti geometricamente; che stabiliva codici semplici o più complessi come labirinti di scrittura-figura in cui farsi inseguire dal lettore-osservatore; che dava l’impressione di considerarla la sua stessa attività di produzione artistica come una sorta di vasto, ed elegante, gioco solitario. “Fatti le tue regole” significa proprio questo. Sarà allora necessario fare in modo che di lui non resti soltanto un catalogo che, per quanto bellissimo e sontuoso, non sarebbe molto più vivace di un album di farfalle infilzate.
Otto anni fa, Agata Boetti aveva pubblicato il libro Il gioco dell’arte (Electa), firmato da lei “con mio padre, Alighiero”. Era la struggente documentazione verbale e fotografica del modo in cui sin da bambina la figlia ha manipolato l’opera del padre, emulandola, interagendoci, stimolandola. Giocandoci, in una parola. L’anno successivo produsse anche come editrice Il libro dei quadrati, che raccoglie tutte le frasi che Boetti aveva incasellato nei suoi variegati ricami quadrati. Oggi, in occasione della pubblicazione dei più recenti tomi del catalogo, Agata Boetti ha poi presentato quattro altre sue produzioni. La prima realizza un progetto che il padre Alighiero aveva concepito senza fare in tempo a portarlo a termine e avrà grande importanza per il futuro degli studi boettiani. Si intitola Insicuro noncurante e il Manuale di conoscenza. È un portfolio che contiene le 80 opere di un portfolio pubblicato da Boetti nel 1975, più altre 65 opere selezionate dallo stesso Alighiero in seguito. Alle riproduzioni si accompagna un insperabile e sinora inedito Manuale che per ognuna delle opere contenute nella cartella fornisce un testo (o più di uno). Si tratta non tanto di commenti, quanto di “punti di pensiero”, dice ora Agata: un “aiuto, codice, regola del gioco”. Alighiero li ha elaborati e dattiloscritti in collaborazione con l’amico e curatore Giovan Battista Salerno.
Un altro portfolio è Vernici industriali, che contiene 49 tavole che riproducono i pannelli di colori e tonalità diverse (Rosso Guzzi, Rosso Gilera, Beige Sabbia Fiat 583 Bleu Cannes 497) come un pantone d’artista, meravigliosamente personale. Tutti colori che invece mancano alla terza pubblicazione: si tratta infatti di un “Boetti da colorare”, per il quale Agata vorrebbe introdurre nella lingua italiana il termine “Coloriage”. Già Alighiero, fedele ai suoi principi di “ononimia”, proponeva ad amici e seguaci di colorare suoi disegni. Durante il confinamento pandemico Agata ha riprodotto alcuni lavori di Alighiero in bianco e nero per lenire la noia della figlia facendoglieli colorare. Ora mette a disposizione di tutti questa opportunità, con 74 opere (alcune assai complesse, come per esempio le grandi mappe) che ognuno può completare, nei momenti di noia o di stress.
L’ultima pubblicazione incarna un sogno. Si intitola con una (davvero magnifica) delle frasi che Alighiero incasellava nei suoi quadrati ricamati poi in Afghanistan: Chi gioca da solo non perde mai. La confezione contiene una tavoletta magnetica e un set di lettere colorate come quelle dei ricami di Alighieri, in modo che ognuno possa giocare a quadrare motti personali e no.
Si è spesa più volte qui la parola più adeguata: giocare. I rapporti tra arte e gioco sono tradizionalmente controversi, con l’arte che minaccia di dare pesantezza ai giochi e il gioco che vorrebbe canzonare l’arte, e “tirarla giù”, chiedendole chi mai si creda d’essere. Ma invece non potrebbe essere proprio il gioco un modo per non archiviare quel che ci viene tramandato e finire di mercificarlo, o dimenticarlo, o le due cose insieme? Così almeno la figlia dice dell’opera del padre. E, conseguentemente, invita a un’altra partita lui e, per nostra grande fortuna, tutti noi.