La Lettura, 7 febbraio 2024
Le macchine Olivetti
Non smetteremo mai di parlare del modello Olivetti: fa parte di alcuni capisaldi della cultura progettuale, assieme all’Aeg di Peter Behrens (1908), alla Bauhaus di Walter Gropius (1919-1933) e alla scuola di Ulm di Max Bill e Tomás Maldonado (1953-1968). Perché l’esperienza olivettiana è imprescindibile e necessaria per affrontare anche i grandi temi della comunicazione contemporanea, sospesi tra Intelligenza artificiale e fascinazione degli influencer.
Il volume Olivetti. Storie da una collezione (Ronzani Editore, pp. 334, e 50), curato con grande scientificità e conoscenza da Sergio Polano e Alessandro Santero, rappresenta una straordinaria «summa»: più di 500 immagini, 90 anni (dal 1908 al 1998) di storia ancora attuale. «Dobbiamo far bene le cose e farlo sapere»: da questo incipit di Adriano Olivetti c’è tutto il lavoro dell’azienda di Ivrea; come scrive Polano, facendo riferimento a Giovanni Pintori, uno dei protagonisti, «l’Olivetti è una macchina da scrivere per pensare nelle nostre case, non solo uno strumento». Mettere insieme discipline diverse dentro un’«utopia umanistica», senza dimenticare che stiamo parlando di prodotti per scrivere, per far di conto, fino ad arrivare, alla fine degli anni Cinquanta, al primo computer a transistor commerciale prodotto in Italia, Elea 9003, concepito da giovani ricercatori guidati dallo scienziato italo-cinese Mario Tchou e affidato a Ettore Sottsass che con questo prodotto vinse il suo primo Compasso d’oro nel 1959.
Design, grafica, comunicazione, architettura, allestimenti in quanto espressione di una visione del mondo che non può mai separarsi dall’arte, dalla poesia e, soprattutto, dalle scienze umane: sfogliando il bellissimo volume vediamo passare macchine da scrivere (la Lettera 22 di Marcello Nizzoli che cambiò il mestiere dei giornalisti), le calcolatrici Divisumma 18 e 28 di Mario Bellini che rivoluzionarono la relazione sensoriale tra uomo e macchina: il corpo esterno in plastica, la tastiera ricoperta di gomma morbida della stessa tonalità di colore.
La collaborazione negli anni pionieristici tra Nizzoli, Pintori e Adriano Olivetti improntò tutto il progetto industriale. Basti pensare alla pubblicità per promuovere le macchine da scrivere disegnata da Pintori: un balletto dove caratteri e numeri sembrano danzatori che interpretano un brano di musica contemporanea. Farsi comprendere da tutti, a partire dalle istruzioni, anche perché la lezione del poeta e ingegnere Leonardo Sinisgalli, collaboratore di Olivetti, è determinante: comunicare il prodotto senza alcuna «dittatura culturale» perché l’arte è universale. Il grande matematico e statistico Bruno de Finetti, su suggerimento di Olivetti, scrisse nel 1952 un saggio che ci appare profetico: Macchine «che pensano» (e che fanno pensare). La persona al centro. E la tecnologia come strumento, non come fine.