La Lettura, 7 febbraio 2024
Contro Antigone
Monocorde, sempre uguale a sé stessa, egocentrica, incapace di concepire una realtà diversa dalla sua: è Antigone secondo Eva Cantarella. Tutti conoscono il personaggio raccontato nella tragedia di Sofocle, la figlia di Edipo che, contro la legge dello zio Creonte, nuovo re di Tebe, decide di dare sepoltura al fratello Polinice, morto in uno scontro fratricida con Eteocle, e viene per questo condannata ad essere sepolta viva. La grecista e giurista del mondo antico dà una rigorosa sostanza filologica e storica a un’antipatia che risale ai tempi del liceo. Lo fa nei confronti di un personaggio di cui «il mondo continua a essere innamorato», che il mito ha reso simbolo della difesa dei diritti umani, della ribellione ai poteri precostituiti e alle leggi ingiuste. Contro Antigone. O dell’egoismo sociale, in uscita da Einaudi Stile libero, è una lettura controcorrente di un grande classico, continuamente reinterpretato, rappresentato, adattato al presente, un j’accuse appassionante che, scrive Cantarella, non si rivolge a un pubblico di specialisti, ma «alle tante persone che, a distanza a volte di anni da quelli della scuola, conservano il ricordo della storia e degli infiniti problemi che essa pone ancora». «La Lettura» ha messo a confronto l’autrice con il romanziere e saggista Matteo Nucci; con Laura Pepe, docente di Istituzioni di diritto romano e diritto greco antico alla Statale di Milano; con Gabriele Vacis, drammaturgo e regista teatrale.
Professoressa Cantarella, chi è l’Antigone di cui lei parla e che dichiara di avere in antipatia?
EVA CANTARELLA — È la protagonista della tragedia di Sofocle; non il mito che è diventata nei secoli, modello di dedizione ai valori più veri e profondi dell’umanità. Perché ci sono due Antigoni opposte: il personaggio di Antigone è radicalmente diverso dal suo mito. Molti anni fa Ettore Cingano ha proposto uno studio approfondito sull’argomento che ritengo valido ancora oggi: Antigone è un’invenzione di Sofocle e io, in questo libro, ho cercato di mettere in luce il carattere del personaggio, davvero inquietante.
In che senso?
EVA CANTARELLA — L’Antigone di Sofocle è una donna di un egocentrismo spaventoso e di una assoluta indifferenza a tutto quello che non è lei, con una fissazione: dare sepoltura al fratello Polinice, bandito dalla città mentre il fratello Eteocle ha ricevuto tutti gli onori. Però ha una sorella, Ismene, di cui non tiene conto e che tratta malissimo. Non ha altri ideali se non quello di raggiungere il fratello nell’altro mondo, l’unico che esiste per lei. Oltretutto dice una cosa che ho cercato invano nelle fonti: vuole andare nel mondo sotterraneo, con i suoi cari, dove sta Dike, la giustizia, che evidentemente per lei non poteva esistere che tra i defunti. Il modo in cui Antigone tratta Ismene è terribile. Basta vedere il primo incontro nel giardino della casa di Creonte, quando immediatamente la insulta. Ismene, figura che io amo molto e che spesso viene denigrata per non possedere le virtù della sorella, pronuncia una frase bellissima: io non posso agire contro la polis, contro la città. Antigone a Creonte dice: io sono d’accordo che è importante, giusto, che ci siano le leggi; è giusto che tu le faccia rispettare perché è il tuo compito, è giusto che gli altri obbediscano, ma io non voglio obbedire.
Laura Pepe, che si è formata alla scuola di Eva Cantarella, nel suo libro «Storie meravigliose di giovani greci» dedica un capitolo ad Antigone in cui arriva a conclusioni un po’ diverse.
EVA CANTARELLA — Proprio perché è stata mia allieva non solo ha il diritto, ma addirittura il dovere di essere in disaccordo.
LAURA PEPE — Il personaggio sofocleo è comunque parte del mito, nel senso che il mito è fatto di moltissime varianti e ognuno può decidere di scegliere quella che preferisce o addirittura di inventarne un’altra: si innestano tutte nella tradizione. Condivido l’avversione nei confronti di Antigone che appare da subito come una donna di grandissima arroganza, consapevole di agire contro il volere dei cittadini. Alla fine, tuttavia, le leggi di Antigone rivelano una loro importanza, tant’è vero che vengono accolte da Creonte. Il problema di Antigone è che è sempre stata in qualche modo santificata e, nella nostra visione tendenzialmente manichea delle cose, Antigone è il bene e Creonte è il male. In tutto questo ci si è dimenticati che Antigone è personaggio di una tragedia, quindi di un genere letterario che per definizione non ha buoni o cattivi, in cui non esiste un discrimine netto tra bene e male. Il percorso di Antigone non è lineare, è complesso. Spesso si dice che Sofocle sta dalla parte di Antigone, visto che lei è il bene, ma Sofocle non è Antigone nella stessa misura in cui Shakespeare non è Amleto. È un personaggio estremamente contraddittorio: va collocato in una tragedia che non era destinata a essere rappresentata nel 2024 ma nel 442 a. C. Quindi ha un senso la proposizione del tema di Antigone in quel contesto storico specifico. Dal mio punto di vista non si può essere né contro né pro Antigone. In quanto personaggio di Sofocle va vista proprio nella sua evoluzione e nel fatto che il principio è cattivo, ma le conseguenze possono anche non esserlo. Quindi le leggi alla fine vengono salvate.
Anche se è troppo tardi per i protagonisti: Creonte decide di dare sepoltura a Polinice e di liberare Antigone che però si è impiccata nella grotta in cui è rinchiusa. E anche il fidanzato Emone, figlio di Creonte, si è dato la morte. Matteo Nucci ha scritto spesso di personaggi del mito classico che sono diventati simboli: Odisseo, Ettore, Achille... Essere contro Antigone significa essere pro Creonte?
MATTEO NUCCI — Anch’io condivido una grande antipatia nei confronti di Antigone, ma non la simpatia che Eva Cantarella mostra per Creonte. Come diceva Laura Pepe, Antigone è certamente una tragedia che noi spesso leggiamo in maniera manichea, però è anche vero che è fondata sulle opposizioni. Sull’opposizione tra Creonte e Antigone ovviamente, ma anche tra Creonte e il figlio Emone; tra Antigone e la sorella Ismene. Io amo immensamente Ismene e Emone. E credo che la vera, grande opposizione sia, fra Antigone e Creonte da una parte e Ismene e Emone dall’altra. Il punto è lo stesso che poi riscontriamo nella tragedia di Edipo, che, pur raccontando fatti antecedenti, è successiva a questa. In quella tragedia noi troviamo il delirio umano di voler dare ordine al caos, al disordine. Edipo è l’uomo che crede di sapere e di poter dare forma al divenire, alla contingenza in cui siamo gettati. Quella imposizione di ordine, quel delirio tutto umano di voler capire e di voler trovare un modo di ordinare il caos è tragico nel senso più lato della parola. È il dramma di Antigone e di Creonte. Entrambi sono figure inflessibili. L’inflessibilità di Antigone punta tutta, come diceva Eva Cantarella, sulla morte. Quella di Creonte è tutta sulla vita, ma una vita che porta morte. A entrambi manca la capacità di andare incontro al contingente, alle cose della vita, caratteristica, invece, di Emone e di Ismene. Emone dice una frase bellissima: gli alberi presi nella corrente tempestosa del fiume si salvano se sanno piegarsi, se sanno flettersi; se restano rigidi vengono spazzati via. Ismene è una donna che si adegua. Viene trattata malissimo dalla sorella, eppure a un certo punto dice: sono disposta a morire anch’io, anche se non ne ha nessuna voglia, e la sorella la rifiuta con una durezza sconcertante. Ecco, io credo che la grande opposizione sia tra due personaggi che in modo diverso manifestano una inflessibilità terrificante e due personaggi che invece vogliono vivere.
EVA CANTARELLA — Emone è un personaggio straordinario, io lo considero il primo eroe romantico. E anche a questo proposito Antigone è umanamente un mostro: ha questo fidanzato, che tra l’altro poi morirà per lei, suicida, eppure non ne parla mai. Lui non esiste per lei. Non c’è una volta in cui lo pensi o immagini di vederlo. Non lo nomina neppure quando, andando a morte, dice: «Non vedrò il giorno delle nozze».
Gabriele Vacis la tragedia sofoclea l’ha messa in scena, in una rilettura contemporanea, con «Antigone e i suoi fratelli» con gli allievi dello Stabile di Torino della compagnia Pem (Potenziali Evocati Multimediali). Che Antigone è la vostra?
GABRIELE VACIS — Lavorando con questo gruppo di attori, tutti giovani, appena diplomati, mi sono fatto l’idea che in ogni epoca Antigone assume caratteri diversi. Questo accade a Prometeo, accade a Edipo, accade a tutti i miti. Ma ad Antigone accade con un’insistenza maggiore perché è un personaggio particolarmente contraddittorio. È la natura della tragedia, cioè la presenza di contraddizioni irrisolvibili. Antigone poi è una donna, il che è abbastanza una novità nel V secolo a. C. Il fatto che sia la rampolla di una stirpe regnante, e quindi che voglia far prevalere le ragioni del sangue, della tradizione, in un mondo che sta cambiando e sta diventando democratico, ne fanno di lei un’eroina conservatrice. Giudicata con il metro di oggi, è un po’ come se fosse la figlia di un grande boss mafioso che pretende a tutti i costi di fare il funerale di suo fratello con il lancio di volantini dall’elicottero.
Nucci dichiara la propria antipatia anche per Creonte, che Cantarella invece definisce «un buon governante vittima di una controinformazione che lo dipinge come un tiranno dalle smodate ambizioni». Pepe nel suo libro scrive che c’è un momento in cui Creonte depone la veste del sovrano buono e illuminato, per assumere quella del tiranno chiuso, intollerante e solitario.
EVA CANTARELLA — Creonte ha ragione nel divieto di seppellire Polinice. Su questo non c’è ombra di dubbio. Polinice è un nemico della patria. Perché mai avrebbe dovuto avere sepoltura? La regola era che i cadaveri dei nemici della patria restassero insepolti. E Creonte dice ai tebani che, a partire dal divieto di seppellire Polinice, sarà un re giusto e che sotto il suo governo non accadrà mai che i cattivi cittadini abbiano «più onore dei giusti». C’è un brano dell’Antigone che a me lo ha reso molto simpatico; quando lui dice in sostanza: ma guarda che io non ci tenevo affatto a prendere questa posizione, io stavo benissimo in casa mia, con la mia famiglia, non ne avevo nessuna voglia. Ma ho avuto questa carica e la esercito. E in effetti la esercita nel modo più coerente possibile, condannando la nipote che seppellisce il fratello alla sepoltura viva.
LAURA PEPE — Sono d’accordo con Matteo Nucci: nella tragedia ci sono opposizioni, anche se io più che di opposizioni parlo sempre di conflitti. Non sono d’accordo invece quando dice che Creonte è un personaggio antipatico. Al contrario: all’ingresso sulla scena, in quello che possiamo definire il discorso della corona, Creonte dice cose che oggettivamente sono condivisibili. È un capo di Stato che annuncia che non farà favoritismi di sorta, che per lui persona cara è chi ama la sua patria, non chi gli è caro per vicinanza o parentela. E siccome questo è un principio che informa il suo governo, decide di dare un premio a chi ha amato la patria, quindi Eteocle, che è morto difendendo Tebe e sarà sepolto, a differenza di Polinice che è un terrorista, arrivato in armi contro Tebe. È molto significativo il fatto che Antigone voglia difendere a spada tratta la sepoltura di un terrorista. A lei non viene mai in mente che anche Polinice forse non è uno stinco di santo, per lei è suo fratello e basta. Il personaggio di Creonte molto spesso viene caricato di una lettura negativa perché si ritiene che il divieto di sepoltura sia proprio la manifestazione della dismisura che caratterizza il tiranno. Ma di nuovo, come scrive Eva, è vero che in tutte le città era stata prevista la sepoltura dei morti e durante le guerre ci si dava tregua per recuperare i corpi sul campo di battaglia. Ma c’erano anche casi in cui la città i morti non li seppelliva. Ad Atene, che è la città dove la tragedia viene rappresentata e che è destinataria del messaggio dell’opera, il supplizio capitale riservato ai traditori della patria e agli empi – e Polinice è traditore ed empio perché muove contro i templi degli dei – era essere precipitati dal baratron e il loro corpo lasciato come orrido pasto di cani, uccelli e bestie feroci, esattamente come dovrebbe succedere a Polinice. Quindi non c’è nessuna dismisura nel decreto di Creonte. Ma, come è già stato sottolineato, Antigone non dice mai che le leggi di Creonte sono ingiuste. Lei dice – ed è il verso tre della tragedia — a queste leggi non devo obbedire io. Quindi non c’è tirannide in Creonte, nella sua parabola iniziale. È vero, il problema è la sua inflessibilità che aumenta la misura tragica e in questo caso determina anche l’evoluzione tirannica di Creonte. Nel suo colloquio con il figlio Emone e poi, a maggior ragione, in quello con l’indovino Tiresia che gli fa notare che sta facendo una cosa contro natura perché sta tenendo sopra la terra un morto e sta mettendo sottoterra una viva, ecco, in questi due confronti Creonte rivela l’inflessibilità, la paura, l’ira, la dismisura che contraddistingue il tiranno.
GABRIELE VACIS — Noi abbiamo fatto molti incontri con le scuole, abbiamo lavorato tantissimo e abbiamo proposto un gioco. Antigone e i suoi fratelli mette insieme Fenicie di Euripide, che, anche se è stata scritta dopo, è un po’ il prequel di Antigone. In Fenicie accade quello che tutti sperano, cioè l’incontro tra Polinice ed Eteocle, organizzato da Giocasta con la speranza che si mettano d’accordo e che il conflitto si fermi. Ma l’incontro diventa prima uno scontro verbale e poi uno scontro fisico, in cui si ammazzano a vicenda. Alla fine di questo primo atto chiediamo ai ragazzi: chi ha ragione? E ovviamente c’è una stragrande maggioranza per Polinice: i due fratelli hanno deciso di governare Tebe un anno ciascuno, ma al termine del primo anno Eteocle non rispetta l’accordo, non vuole cedere il potere al fratello, che quindi arriva con l’esercito contro Tebe. Poi c’è il secondo atto in cui Antigone discute con Creonte proprio sul rispetto di una legge. Ma a questo punto, quando chiediamo: per chi tenete? Per Creonte o per Antigone? Beh, qui l’unanimità è per Antigone. A questo punto noi diciamo: scusate, ma prima ha ragione Polinice che chiede il rispetto delle regole e adesso Antigone, che invece vuole trasgredirle? Di solito nasce una discussione. Ci si può ribellare se la legge è ingiusta? Certo, e chi decide quando una legge è ingiusta? Insomma, il dibattito spesso dura più dello spettacolo.
EVA CANTARELLA — A me Antigone continua a essere estremamente antipatica. Ci sono tante ragioni. È una donna assolutamente senza cuore, senza sentimenti. Lei ha un unico obiettivo: andare con i morti, là sotto.
MATTEO NUCCI — A proposito della morte, è interessante notare che nel «Proemio» di Parmenide, che per molti studiosi ultimamente è leggibile come una catabasi, una discesa nell’oltretomba, passate le porte del giorno e della notte compare proprio Dike. E poi c’è la storia terribile e bellissima di Mida che chiede a Sileno quale sia la cosa più desiderabile per un uomo. Lui risponde: non essere mai nato, e se non si può avere la fortuna di non essere mai nati, meglio morire presto. È una delle ossessioni del mondo greco classico. Antigone incarna questa desiderio: io ho sofferto talmente tanto che voglio morire al più presto, andare con chi ho amato.
EVA CANTARELLA — Esattamente. Dice: per me la morte non può che essere kerdos, guadagno.
MATTEO NUCCI — Mentre per Creonte l’unico kerdos è il denaro. Credo che sia interessante guardare alle altre due tragedie, come fa Eva Cantarella nel libro, perché Antigone nell’Edipo re, ma soprattutto nell’Edipo a Colono, è tutt’altro: è una donna che ha veramente sofferto e capito molte cose che ha capito Edipo stesso. Edipo ha fatto i conti con la sua inflessibilità, si è strappato gli occhi con cui credeva di vedere e di giudicare il mondo perché adesso vede con gli occhi della mente, con gli occhi del dolore. Vede oltre. E l’uomo che va a morire a Colono è un uomo completamente trasformato. Ha perso quelle inflessibilità, si è adeguato alle cose del mondo. E lo stesso sembra essere Antigone che accompagna il padre: una donna che ha fatto i conti con la sorte, con la contingenza, con ciò che non possiamo mai prevedere. Insomma l’opposizione dell’Antigone per me resta sempre questa: fra la durezza e la flessibilità. Da questo punto di vista credo che siano molto importanti tutti i riferimenti alla conoscenza e al sapere che percorrono la tragedia interamente, e che poi percorreranno in maniera chiara e illuminante l’Edipo re. Qui il termine secondo me più interessante alla fine è l’eubulia, il buon consiglio, il retto giudizio, non la scienza, l’episteme, che pure compare. Quello che chiede Tiresia a Creonte e che alla fine lo stesso Creonte dichiara di non aver avuto: la capacità di adeguarsi alle cose della vita, di perdere quella durezza che condivide con Antigone.
Quindi che ne è del mito di Antigone? Del simbolo che ha dato il nome ad associazioni per la difesa dei diritti umani?
EVA CANTARELLA — Qualcuno ha parlato dei diritti umani anche nell’antichità, per esempio Maurizio Bettini fa riferimenti a questo. Io non credo che si possa parlare di diritti umani perché questi si collocano nel tempo, e quindi ovviamente non possono essere gli stessi. Certo, nella tragedia Antigone è anche un po’ razzista: per esempio quando dice che questa battaglia che fa per il fratello non la farebbe per uno schiavo. A me oggi colpisce il tema del diritto alla sepoltura; è ciò che la rende davvero attuale. In questo senso la tragedia di Sofocle ci pone di fronte a quello che oggi è considerato un diritto umano che guerre e migrazioni portano in primo piano.
LAURA PEPE — Antigone, per il fatto che è donna, non è sicuramente un personaggio politico. Le donne sono al di fuori della vita della polis: se avesse voluto fare una polemica politica, Sofocle avrebbe dato questo ruolo a un uomo. Adesso ci sono molti studi che cercano di capire se effettivamente si potesse parlare di diritti umani ai tempi di Sofocle, c’è un filone della dottrina che indaga l’esistenza proprio di diritti soggettivi, i diritti della persona. Certamente l’Antigone non parla della tutela dei diritti umani. Ricorre, invece, con una frequenza addirittura ossessiva, il termine nomos che si ritiene indichi la legge e che in realtà è proprio la regola di comportamento, che non è necessariamente una legge scritta. Qui non ci sono leggi scritte, si contrappongono due diversi ordini di nomoi, quindi di regole, di norme. Da una parte c’è la legge di Creonte che è una legge isonomica, vale nei confronti di tutti. E dall’altra parte ci sono le leggi non scritte, incrollabili degli dei, difese da Antigone, che, a ben vedere, non sono diritti umani ma leggi aristocratiche.
Antigone è una ribelle? Questo possiamo riconoscerglielo?
LAURA PEPE — Sicuramente lo è, ma oggi le ribelli lo sono nei confronti di uno status quo, sono proiettate verso il futuro. È molto significativo che spesso, invece, le ribellioni e le rivoluzioni nella Grecia antica non fossero proiettate verso il futuro, ma fossero un tentativo di ritorno al passato. Faccio un altro esempio: un divieto di sepoltura in tempi relativamente vicini alla Antigone aveva riguardato Temistocle, famoso eroe di Salamina che aveva portato Atene al successo contro i persiani ed era poi finito in disgrazia, accusato di essere filopersiano. Esiliato da Atene, considerato un traditore, la città aveva vietato la sua sepoltura non tout court, ma in patria. Che cosa fanno i parenti di Temistocle? Segretamente vanno a prendere le ossa e le riportano in patria per seppellirlo. Perché non accettano appunto le leggi della città e vogliono riservarsi il diritto che hanno sempre avuto.
GABRIELE VACIS —Spesso identifichiamo la tradizione con la conservazione delle tradizioni, ma la parola tradizione, che ha la stessa radice semantica di tradimento, comporta un cambiamento. Infatti da Prometeo a Medea questi personaggi sono tutti innovatori, perché sono traditori. Antigone tradisce la sua patria? È vero, perché sta introducendo un’eccezione alla regola facendo riferimento a tradizioni più antiche, più profonde. Beh, noi quando avevamo vent’anni e volevamo fare la rivoluzione andavamo a cercare le ultime canzoni popolari in Val Varaita.
Eva Cantarella alla fine del libro ricorda alcune figure contemporanee che hanno fatto evocare il nome di Antigone, come Carola Rackete che nel 2019, al comando della Sea-Watch carica di migranti, ha violato il divieto di entrare nel porto di Lampedusa. Si è parlato di Antigone anche nel caso di Elena Cecchettin che sul corpo della sorella Giulia, vittima di femminicidio, ha sollevato una battaglia sociale e politica.
LAURA PEPE — Un’altra figura di oggi paragonata ad Antigone è Greta Thunberg, quando, nel giugno 2019, all’Onu ha fatto quel famoso discorso contro i leader mondiali che iniziava: Come osate? Siamo molto lontani dalla figura di Antigone, che tuttavia rimane universale perché quello che lei dice può essere benissimo reinterpretato: è la grandezza del teatro greco.
GABRIELE VACIS — Lavorando con le ragazze, soprattutto del gruppo Pem, ho notato che prevale l’immagine di una donna che ha il coraggio e la forza di ribellarsi al patriarcato, come dicono oggi. Mia figlia ha questo tipo di atteggiamento, per esempio. C’è una forma di riconoscimento di un patriarcato che affonda le radici proprio nel mito. D’altronde Zeus non seduce mai una donna nel senso di fare la corte, attirare la sua attenzione, conquistarla, farla innamorare. Semplicemente se la prende. Il nostro lavoro su Antigone è andato molto anche in questo senso. Creonte, semplicemente, non si accorge di Antigone, non si rende conto del suo disagio, dei sentimenti che naturalmente sono i sentimenti di un personaggio regale che può permetterseli. Sicuramente una schiava ad Atene o a Tebe in quel momento non avrebbe avuto le stesse possibilità di espressione. Certo, venendo all’oggi, Carola Rackete fa un atto di grande coraggio sfidando il potente di turno. Elena Cecchettin fa una cosa diversa, rileva quello che rileva Antigone quando afferma: io sono qui per l’amore, non per l’odio. Elena Cecchettin dice: andiamo a fondo su questa questione del patriarcato, sui comportamenti inconsci che abbiamo, sulle regole che abbiamo introiettato. Ecco, io credo che oggi abbiamo bisogno di un teatro che ci faccia vedere la regola, ma anche il fatto che possiamo metterla in dubbio.
MATTEO NUCCI — Mi ha colpito quello che diceva prima Eva Cantarella. Qualche giorno fa ero a cena con una persona, esperta della questione israelo-palestinese, che diceva: non si sa bene quanti siano i morti palestinesi perché molti se li mangiano i cani, la sorte che tocca al nemico lasciato senza sepoltura nel mondo greco antico. Però vorrei sottolineare un aspetto diverso da questi così drammatici dell’attualità. È il cuore del meraviglioso primo stasimo dell’Antigone. Ovviamente nel suo libro Eva Cantarella parla abbondantemente di quelle leggi che corrispondono alle leggi di Creonte. Io allargherei la sua interpretazione a un significato più universale. Lo leggo nella traduzione di Raffaele Cantarella, padre di Eva: «Possedendo, al di là di ogni speranza/ l’inventiva dell’arte, che è saggezza/ talora muove verso il male, talora verso il bene./ Se le leggi della terra vi inserisce e la giustizia giurata sugli dèi,/ eleva la sua patria ma senza patria è colui/ che per temerarietà si congiunge al male: non abiti il mio focolare/ né pensi a me chi agisce così». È una meraviglia assoluta sulla grandezza, sull’aspetto terribile in senso positivo, ma anche negativo, dell’essere umano, del progresso. E qui ci sono «le leggi della terra», di cui adesso purtroppo, viste le guerre che ci stanno togliendo il sonno, parliamo meno. È qualcosa su cui non si finisce mai di riflettere. Quali sono le leggi della terra? Ce lo dice la terra stessa.
GABRIELE VACIS — È la bellezza del classico. Noi usiamo indifferentemente «attuale» e «contemporaneo», come se fossero sinonimi. Ma non è così: i classici sono contemporanei, non attuali, nel senso che stanno sempre nel tempo. Non stanno nel tempo dell’attualità per poi consumarsi, bruciarsi. Riescono, ogni volta, in ogni epoca, a dirci qualcosa.
EVA CANTARELLA — È indubbio che dopo due millenni e mezzo da quando Sofocle ha messo in scena la tragedia, Antigone è ancora tra noi, nella nostra vita quotidiana, anche in ambiti lontanissimi – geograficamente, culturalmente, antropologicamente – rispetto a quello in cui è nata. È una figura ricca e lo dimostrano gli spunti usciti da questa conversazione. Tanto che mi verrebbe voglia di ricominciare a scriverne.