La Stampa, 7 febbraio 2024
I business del vino low alcol
Guai chiamarli vini. I prodotti a base uva con bassa gradazione alcolica suscitano polemiche nel nostro Paese, storicamente legato ai vini tradizionali (comunemente da 11 gradi alcol in su). Ma sono i numeri a parlare. I prodotti low alcol, dai 7 ai 2 gradi, spopolano negli Stati Uniti e si stanno diffondendo anche in Europa. L’Italia negli States fa la parte da leone, accaparrandosi il 70% del valore delle vendite, ma a guadagnarci sono gli americani: come rileva uno studio dell’Osservatorio Unione italiani vini su base NielsenIQ, l’80% del business derivante da uve italiane è in mano a imprese a stelle e strisce, che importano e poi rivendono il prodotto finito ed etichettato nel Belpaese.
Un paradosso imprenditoriale a cui si ne aggiunge un altro politico. La premessa è che per fare prodotti low alcol ci sono tre strade: si può usare il vino come base per bevande aromatizzate, si può fermare la fermentazione del mosto tenendola bassa oppure si può dealcolare, con macchinari specializzati, il vino già pronto. Ma nel nostro Paese, ad oggi, quest’ultimo metodo non è consentito. Quasi tre anni fa l’Ue ha emanato un regolamento (2021/2117) che autorizza e norma la produzione e commercializzazione di vino parzialmente dealcolato, ma l’Italia non l’ha ancora recepito. Un peccato, considerando che la strada della dealcolazione sembra la più promettente dal punto di vista commerciale in quanto offre prodotti con meno zuccheri, considerati in linea con i trend salutistici.
«Da tempo sollecitiamo un intervento normativo del governo – attacca Paolo Castelletti, segretario generale di Uiv –. Al netto delle bozze di decreto, su cui abbiamo evidenziato perplessità, siamo gli unici a non aver ancora recepito il regolamento Ue, con svantaggi competitivi rispetto ai produttori comunitari. Il governo deve trattare con massima urgenza questo tema, definendo un chiaro perimetro d’azione».
Intanto i vini low alcol guadagnano fette di mercato. Negli Usa hanno un valore globale di 943 milioni di dollari con 110 milioni di bottiglie vendute. Rappresentano il 5% del totale vino veicolato nella grande distribuzione statunitense, con punte del 50% per gli aromatizzati. L’Italia vanta il 70% del valore dei vini venduti e la metà dei volumi commercializzati negli States. E del totale del “vino” italiano venduto negli Usa – che sullo scaffale vale 2,4 miliardi di dollari – il 28%, pari a 651 milioni, è sotto i 7 gradi. Bottiglie, ma anche lattine, vendute al prezzo medio di 16 dollari al litro, più del doppio rispetto ai prodotti statunitensi (7 dollari), il 5% in più della media dei vini tricolori tradizionali. L’Italia tra i prodotti fermi fornisce rossi (67%), seguiti da Moscato (26%) e rosati (6%). Un business che però ad oggi le imprese italiane non stanno gestendo. —