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 2024  febbraio 07 Mercoledì calendario

Intervista a Pasquale Tridico


Pasquale Tridico, 48 anni, economista, ex presidente dell’Inps, ha deciso di candidarsi in Europa con il Movimento Cinque Stelle.
Schierato a sinistra, è convinto che il futuro del Pd e dei 5S sia quello di far «fronte comune per un’alternativa di governo alle destre».
Dunque il dado è tratto…
«Sì, ho accettato la proposta di Conte, sarò capolista nel collegio del Sud.
Sono contento e emozionato. È il mio il battesimo politico».
Si iscrive ai Cinque Stelle?
«Intanto mi candido come indipendente e ho accettato di guidare la scuola di formazione politica del Movimento, poi si vedrà…».
Una scuola di formazione politica, la Frattocchie grillina…
«È una cosa seria, lezioni universitarie. Un incarico a cui tengo moltissimo, perché dalla formazione nascono non solo le classi dirigenti ma nascono anche le idee. Ho cercato di coinvolgere eccellenze, persone indipendenti. Partiamo il 15 di febbraio».
Mi faccia quattro nomi di docenti?
«Chiara Saraceno, la sociologa più attenta alle diseguaglianze, Mario Tozzi per la transizione ecologica, l’ex assessore di Veltroni e Marino, Marco Causi sull’amministrazione pubblica, l’ambasciatore Piero Benassi sull’Europa. Sarà una scuola di impronta progressista».
Sono giorni difficili tra Pd e Cinque Stelle. Conte ha detto che il Pd ha una linea bellicista, dal Nazareno rispondono che lui non sceglie tra Biden e Trump. Esiste una strada per la costruzione dell’alternativa?
«Lo dico sinceramente, io sono sicuro che questa possibilità ci sia. I temi convergenti sono tanti, soprattutto sull’economia. Del resto mi sembra che in Sardegna si sia raggiunto l’accordo, così come in Umbria».
È l’ottimismo della volontà?
«Ma no, l’importante è lasciare stare il passato, con tutte le sue differenze.
Se parliamo della prospettiva futura si troveranno molto più convergenze e spianeremo la strada spianata per creare un fronte comune contro questa destra».
Si potrebbe immaginare un contratto di programma, come si fa in Germania?
«Oddio, se parliamo di contratto a me viene in mente quello tra Lega e Movimento del 2018, durato solo un anno visto che le differenze erano enormi. Quel modello ricorda un fallimento mentre io sono certo che, dopo le Europee, arriverà il tempo giusto per le convergenze, quando cominceremo a confrontarci più concretamente sui temi».
Su cosa è più facile l’accordo?
«Parlo del mio campo, l’economia.
Crediamo tutti che la crescita sia legata alla lotta alle diseguaglianze.
Storicamente le società europee avanzate sono cresciute perché la classe media aumentava continuamente i salari e si riduceva il gap di diseguaglianza. Oggi accade l’opposto: secondo Banca d’Italia il 5% della società ha aumentato negliultimi anni la sua a quota di reddito dal 40 al 47%, mentre il 50% della società ha visto una diminuzione della ricchezza dall’8 al 7%. Questo non solo è intollerabile sul piano morale, ma comprime i consumi, porta a una scarsa crescita e alla stagnazione».
Vi obietteranno che prima di pensare a redistribuirla, la ricchezza va creata...
«Ridurre la povertà e far ripartire i salari serve anche a creare ricchezza.
L’obiettivo principale di una classe politica progressista deve essere proprio quello di riattivare la crescita riducendo le diseguaglianze. E su questo penso che Pd e Cinque Stelle abbiano tutte le carte in regola per marciare nella stessa direzione».
Come ha ricordato Ezio Mauro su questo giornale, se non si condivide una stessa linea in politica estera non può esistere una coalizione di governo. Oggi tra Pd e 5S non si vede una posizione in comune,dall’Ucraina al Medio Oriente...
«La convergenza possibile la dobbiamo cercare all’interno delle politiche dell’Unione europea, dove M5S e Pd stanno quasi sempre dalla stessa parte, senza dimenticare che il M5S votò la Commissione di Ursula von der Leyen».
Il punto di attrito più forte resta quello sulla guerra in Ucraina…
«Si, ma attenzione: in Italia la posizione pacifista c’è sempre stata, ha la sua dignità, è fortementeradicata nel campo della sinistra. Lo abbiamo visto in passato, con le critiche all’intervento Nato in Jugoslavia e all’invasione Usa in Iraq.
Non stiamo parlando di atteggiamenti estremistici, che vanno criticati e isolati, ma della posizione persino degli ultimi Pontefici, compreso quello attuale.
Mia moglie è ucraina, io sono filo ucraino, questa invasione russa l’ho vissuta con grande sofferennza anche personale, ma una forza progressista deve sempre mantenere un’orizzonte alternativo alla guerra».
Finora i 5s hanno bussato a diverse porte senza trovare ospitalità: a quale gruppo dovrebbero unirsi in Europa?
«Penso che la naturale collocazione del Movimento siano i Verdi. E sono sicuro che si approderà lì, anche se qualcuno ancora ostacola questo processo».
Intanto il M5S ha votato contro il Mes in Parlamento. Non sembra tanto europeista
«Ha fatto bene, il Mes a questo punto, per come è fatto, rischia di essere un ostacolo a una maggiore integrazione europea.
Noi invece proponiamo di portare al 5% il bilancio dell’Ue, ora inchiodato a un ridicolo 1% del Pil dei 27. E poi dovremmo fare come gli Stati Uniti con l’Inflation reduction act, un gigantesco piano di investimenti pubblici che stanno trainando la transizione green. Per fare questo dobbiamo trasformare la Bei in una Best, una Banca europea per la sostenibilità e la transizione».
Conte quando l’ha conosciuto?
«Qualche mese prima delle elezioni del 2018, quando eravamo entrambi nella squadra di governo del Movimento 5 stelle. Io ero indicato per il lavoro, lui per la Funzione Pubblica».
I suoi detrattori dicano che sia un uomo spregiudicato, capace di essere indifferentemente di destra o di sinistra. È così?
«Niente di più falso. La nostra prima chiacchierata, pensi un po’, fu su Keynes, l’economista che ha lasciato l’impronta più duratura sulla cultura progressista. Le politiche del governo Conte, dal superbonus, al blocco dei licenziamenti fino al reddito di cittadinanza, sono state politiche keynesiane».
Un giudizio su Elly Schlein?
«È la persona giusta per riportare al Pd quanti se ne sono andati».
Stefano Feltri ha scritto che potrebbe essere proprio lei il nuovo Prodi, il federatore tra Pd e 5S.
«Quell’articolo mi ha divertito, ma io davvero penso solo a far bene per i prossimi cinque anni in Europa, sempre se sarò eletto s’intende».